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Festa del Lavoro tra politica e futuro

Una ricorrenza, la Festa dei Lavoratori, attuale e importante oggi più che mai. Ne parliamo con i docenti dell'Univpm

ANCONA – Ricorrenza simbolo delle lotte degli operai per la conquista dei diritti, la Festa dei Lavoratori, che si celebra oggi – 1° maggio -, affonda le sue radici lontano nel tempo, nelle manifestazioni organizzate negli Stati Uniti e in Francia tra il 1886 e il 1889 per ridurre la giornata lavorativa a otto ore. Ne parliamo con due docenti dell’Università Politecnica delle Marche, il professor Francesco Orazi, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro, e il professor Antonio di Stasi, docente di Diritto del Lavoro.

«È una ricorrenza importante perché ci ricorda il ruolo del lavoro che consente all’uomo di creare il mondo trasformando la natura, una peculiarità dell’uomo» spiega il professor Francesco Orazi. Una data importante «in termini storici e politici, che celebra una storia europea importantissima e i diritti conquistati, grazie alle lotte dei movimenti operai».

Per il docente ancora oggi è importante celebrare questa ricorrenza, sia per tramandare la storia alle nuove generazioni, sia per stimolare una riflessione che possa riportare il tema lavoro al centro dell’agenda politica. «Oggi il lavoro conosce una marginalizzazione e una precarizzazione molto forte, mentre la capacità di rappresentarsi ad un livello alto è una ‘galassia sparpagliata’. Per questo è necessario ridare centralità al tema del lavoro nella proposta politica di tutto il campo parlamentare, dopo che negli ultimi 30 anni si è assistito ad un arretramento, specie per quanto riguarda il lavoro dei giovani, che ha portato l’Italia ad un punto di caduta».

Il professor Orazi tocca anche il tema della disoccupazione femminile, più forte «nel Meridione d’Italia, dove si assiste ad una condizione di scoraggiamento delle giovani donne: si parte dal presupposto che cercare lavoro sia inutile ci si auto-marginalizza, un ‘vecchio’ fenomeno del mercato del lavoro italiano, che con le crisi degli ultimi 15 anni ha assunto dimensioni più preoccupanti».

Secondo il docente negli altri Paesi europei la condizione femminile nel mondo del lavoro è migliore grazie «alla flessibilità e al ricorso al part time, la forma contrattuale maggiormente richiesta e presente dove c’è un maggior tasso di occupazione femminile. In Italia – prosegue Orazi – vi si ricorre poco e anzi, quando le giovani donne vengono contrattualizzate in alcuni casi viene fatta firmare loro una dichiarazione in cui si impegnano a non fare figli, questo è sconsiderato visto che il nostro Paese è al lumicino dal punto di vista democratico. Serve una nuova narrazione per riportare al centro della scena politica il lavoro».

Il mercato del lavoro è evoluto negli ultimi anni: l’accelerazione della digitalizzazione, l’impiego di nuove tecnologie e le possibilità aperte dall’Intelligenza Artificiale, hanno un impatto anche sui lavoratori. Professor Antonio di Stasi, sul fronte dei diritti a che punto siamo?  «La macchina intelligente sostituirà sempre più lavoratori umani. Siamo al cambio di era e quella digitale cambierà radicalmente l’ordinamento giuridico e la possibilità che la ricchezza possa distribuirsi attraverso una attività lavorativa. Anche le persone (molte di meno) che continueranno ad avere un lavoro avranno problemi nuovi: si pensi al controllo non solo della attività lavorativa ma anche all’erosione del tempo da dedicare a se stessi.e al lavoro. Basta pensare a quanto sia difficile la disconnessione. In sintesi, il diritto del lavoro oggi vigente non garantisce l’effettività dei diritti delle figure lavorative sempre più interconnesse».

Sul tema donne e lavoro, con una parità salariale e di carriera ancora da raggiungere, Di Stasi parla di «una questione culturale. Non vi sono ragioni per non assumere le donne o per pagarle di meno. Gli imprenditori dovrebbero prenderne coscienza e comportarsi di conseguenza». L’altro nodo è quello del disallineamento tra le competenze dei lavoratori e l’offerta. Molte imprese faticano a trovare operai, magazzinieri, manovali, camerieri, solo per citare alcune tra le figure più ricercate. Alcune aziende guardano al personale immigrato, come difendere i diritti di questi lavoratori? «Non mancano soltanto figure operaizie o a basso contenuto professionale, per cui sono folli le politiche contro l’immigrazione anche sotto un profilo funzionale, bensì anche quelle ad alto contenuto intellettuale. I nostri migliori laureati non riusciamo a trattenerli e quindi vanno in città del nord, quando non all’estero. Abbiamo di fronte a noi un inverno demografico e un depauperamento di giovani che formiamo e poi non sappiamo valorizzare».

Professor Di Stasi, guardiamo al futuro, da qui ai prossimi 20 anni che scenario immagina? «Lo scenario che abbiamo di fronte ha le criticità appena evidenziate. Potremmo intervenire su più aspetti, ma occorre che la politica riprenda ad avere visione del futuro. Uno sguardo lungo e una idea di programmazione».

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