ANCONA – Droga e appalti. È cosi che la mafia fa affari nelle Marche. Questa la fotografia scattata dal report semestrale della Dia, Direzione Investigativa Antimafia, e relativa ai primi 6 mesi del 2019. Nonostante non si registrino fenomeni di radicamento, i tentacoli della mafia si allungano anche sulla nostra regione. A finire nel mirino delle cosche, il sistema produttivo (agroalimentare, manifatturiero e turistico) utilizzato dalla criminalità organizzata per «riciclare e reinvestire i capitali illeciti».
Ma a rendere le Marche una regione “appetibile” è anche la sua posizione strategica al centro dell’Italia, cruciale per i collegamenti terrestri tra nord e sud che facilitano lo spostamento e le interazioni criminali. In una simile configurazione il porto di Ancona è «crocevia anche delle merci illecite come stupefacenti, tabacchi lavorati esteri, merce ricettata e contraffatta» che dai Balcani raggiungono la nostra regione per alimentare i mercati illegali locali, soprattutto lungo la fascia costiera. A far gola alla mafia sono anche gli appalti per la ricostruzione post sisma, il cantiere più grande d’Europa.
Nel nostro territorio «si registrano presenze di affiliati» alla ‘ndrangheta calabrese, alle cosche catanzaresi, crotonesi (Grandi Aracri) e reggine, si legge nel report della Dia, ma sono presenti anche sodalizi pugliesi, soprattutto foggiani, impegnati nel “pendolarismo criminale” finalizzato alla commissione di reati predatori, «con tecniche operative particolarmente aggressive con l’uso di armi da guerra e di esplosivi, come nei casi degli assalti ai portavalori e delle rapine agli sportelli bancomat».
A contendersi la piazza dello spaccio di sostanze stupefacenti sono soprattutto le mafie straniere: nigeriana, tunisina, marocchina, pakistana e albanese.
Ma qual’è la situazione nelle 5 province? Presenza di cosche calabresi, di origine crotonese, collegate alla ‘ndrina Grande Aracri, è stata rilevata in provincia di Ancona nell’ambito di una vasta operazione condotta dai carabinieri e denominata “Terry” che partendo dal Veneto ha interessato anche l’anconetano dove alcuni imprenditori si erano rivolti a soggetti mafiosi per risolvere problemi aziendali. Sette gli arresti per estorsione e usura, aggravate dal metodo mafioso. Al porto di Ancona sono state rilevate attività illecite nell’ambito del traffico di stupefacenti provenienti dalle rotte turche e albanesi e contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Ma attività criminali hanno interessato anche la gestione dei rifiuti e i finanziamenti pubblici.
Rilevanti le operazioni delle forze di polizia e dei carabinieri che hanno portato a numerosi arresti. Nel mese di febbraio i militari dell’Arma hanno tratto in arresto un pregiudicato albanese trovato in possesso di oltre 7 kg di marijuana e cocaina e strumenti per il confezionamento delle dosi. I militari dell’Arma nel mese di marzo hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un sodalizio criminale, composto da 7 marocchini, dedito al traffico di hashish, del tipo “barbuka”. «Il gruppo si serviva di connazionali, ma anche di pusher italiani per lo spaccio nelle piazze del capoluogo» si legge nel report. Nell’ambito dello smaltimento illecito dei rifiuti i militari dell’Arma hanno messo a segno l’operazione “Raehell” conclusa nel mese di aprile con l’arresto di 12 imprenditori italiani responsabili dei reati di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti e falso in atto pubblico. «Il gruppo criminale – spiega il report – aveva organizzato lo stoccaggio illecito di circa 11mila tonnellate di rifiuti considerati pericolosi (rottami vetrosi, elettrici ed elettronici) in una zona della provincia sottoposta a vincolo paesaggistico».
«I dati del report confermano come il territorio della provincia di Ancona sia ancora scevro da radicamenti e condizionamenti mafiosi, ma in ogni caso non abbassiamo mai la guardia – commenta il comandante provinciale dei carabineri di Ancona Cristian Carrozza – . In più occasioni si è ravvisata la presenza di soggetti di interesse operativo che gravitano nel nostro territorio ma non vi operano, mancano infatti quei fenomeni espressione diretta delle organizzazioni mafiose come estorsioni, rapine e incendi». Il colonnello precisa che alcuni di questi soggetti «vivono nel nostro territorio perché lo scelgono per scontare misure alternative alla detenzione».
Nell’ambito dei finanziamenti e degli appalti pubblici invece la guardia di finanza ha portato alla luce una serie di irregolarità: una società di servizi era riuscita ad aggiudicarsi, indebitamente e con la complicità di funzionari di un ente locale in provincia di Ancona, un finanziamento europeo di 95 mila euro, truffa realizzata con atti pubblici falsificati da imprenditori e funzionari amministrativi compiacenti.
Rilevante il traffico di sostanze stupefacenti fra le province di Macerata e Fermo, dove il mercato dello spaccio è in mano alle mafie straniere e al clan Nardino, un sodalizio del foggiano: presenti soggetti criminali di origine marocchina nel fermano e gruppi di tunisini e nigeriani, ma anche pakistani e albanesi nel maceratese. Lo sfruttamento della prostituzione ha visto in prima fila la mafia nigeriana, ma si sono registrati anche episodi di corruzione nell’ambito dell’affidamento degli appalti pubblici nel Comune di Macerata. Rilevate presenze di cosche del crotonese.
La provincia di Ascoli Piceno è interessata soprattutto dal traffico di sostanze stupefacenti provenienti dall’Albania, ma anche dal napoletano con la complicità della camorra. Nell’ambito della ricostruzione post sisma sono stati rilevati invece sodalizi mafiosi che hanno interessato anche il fermano, nella gestione delle macerie. Rilevata a San Benedetto del Tronto la presenza di soggetti riconducibili alla ‘ndrangheta del catanzarese.
In provincia di Pesaro Urbino sono attive bande criminali collegate alle cosche calabresi (reggine), campane e pugliesi, dedite a reimpiegare denaro e nel caso dei pugliesi alla commissione di reati predatori. In particolare la criminalità di matrice pugliese è attiva negli assalti ai bancomat con l’uso di esplosivo. Ma sono state registrate presenze anche di albanesi e bosniaci coinvolti nel traffico di sostanze stupefacenti.