ANCONA – Ozono, idrossiclorochina e plasma iperimmune. Sono i tre protocolli su cui la Regione Marche vorrebbe puntare come annunciato ieri dall’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini che ha puntualizzato di aver chiesto al Servizio Sanitario di validarli.
«L’ozono è una molecola in grado di ossidare molti substrati – spiega il primario della Clinica di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona, Andrea Giacometti – . In pratica è un potente ossidante. Qualcuno lo sta sperimentando nella terapia dei pazienti affetti da Covid, ma le evidenze scientifiche sono ancora incomplete».
Il primario spiega che gli autori che hanno pubblicato dei lavori sul tema, «riconoscono onestamente che non sanno con quali meccanismi potrebbe funzionare, che la numerosità dei trattamenti è ancora limitata per analisi statistiche e che l’arruolamento dei pazienti non ha seguito rigide regole in grado di limitare l’errore statistico».
L’infettivologo puntualizza inoltre che anche l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) «mesi fa ha concesso alcune sperimentazioni sull’uso dell’ozono nel Covid, ma non sono stati prodotti dati ufficiali». Ma come si svolge di fatto la terapia? In pratica «si prelevano 200 ml di sangue dal paziente che vengono “mescolati” con 200 cc di ozono e successivamente reintrodotti in vena nel paziente». Il primario evidenzia però «qualche rischio di infezione se tale procedura fosse praticata a livello domiciliare e, comunque, le Usca – osserva – attualmente non hanno l’attrezzatura necessaria» per eseguire questo tipo di terapia che quindi resterebbe confinata in ambito ospedaliero.
Per quanto riguarda invece l’idrossiclorochina, il farmaco antimalarico, utilizzato anche nell’artrite reumatoide e nel lupus eritematoso sistemico e impiegato a inizio pandemia, Giacometti solleva dei dubbi: «Abbiamo utilizzato l’idrossiclorochina nei mesi di marzo-maggio, successivamente ne abbiamo abbandonato l’uso dopo gli “alert” provenienti da Oms ed Aifa. In pratica, le evidenze scientifiche – spiega – dimostravano che il farmaco non era efficace nel trattamento del covid-19 e, peraltro, il suo uso era gravato da rischi per il paziente, di cui alcuni potenzialmente letali. Diciamo che restiamo su questa linea a meno che l’Aifa non ritratti tutto dopo l’acquisizione di ulteriori dati». Giacometti invita alla prudenza e all’«attenzione circa le informazioni riguardo l’uso che ne ha fatto Trump: in questo caso l’idrossiclorochina era stata assunta come profilassi – prosegue – e quindi non è stata efficace perché poi Trump si è ammalato di covid, mentre non è stata utilizzata per trattarlo quando era malato: in questa fase hanno utilizzato anticorpi monoclonali e remdesivir.
Già utilizzata invece nelle Marche la terapia al plasma iperimmune, con la quale «sono stati trattati una ottantina di pazienti nelle Marche, ma solo in quattro casi, qui a Torrette, vi è stato il reale arruolamento nell’ambito della sperimentazione nazionale Aifa-Tsunami. Tutti gli altri pazienti sono stati trattati “per uso compassionevole” e quindi senza gruppo di controllo non trattato». Secondo il primario però «non è ancora possibile affermare se il plasma funzioni o no. Personalmente ho l’impressione che non sia quel rimedio miracoloso che ci si aspettava».
Discorso diverso per quanto riguarda il Remdesivir che il professore puntualizza di aver «già utilizzato su una trentina di pazienti nel reparto da me diretto e ormai lo richiediamo per ogni paziente che viene ricoverato per covid. Forse è solo una mia impressione – spiega – , ma credo che sia discretamente efficace».
Più promettenti appaiono invece gli anticorpi monoclonali non ancora impiegati a Torrette. «Gli anticorpi monoclonali potrebbero essere più efficaci del plasma – sottolinea Andrea Giacometti – . Il plasma contiene un pool di tanti anticorpi che possono essere più o meno efficaci e forse anche nocivi. Gli anticorpi monoclonali sono invece stati selezionati fra i più attivi in vitro verso SARS-CoV-2 e sono prodotti sinteticamente in forma pura».
Ma intanto sono in uso nuove terapie negli ospedali della nostra regione, fra le quali «alcune in corso con sostanze inibitrici delle Janus-Kinasi, ossia delle vie metaboliche che portano alla formazione dei mediatori dell’infiammazione. Alcune di queste sono già utilizzate in patologie quali artrite reumatoide, colite ulcerosa, ed altre, però il loro uso non è scevro da rischi e pertanto è necessario selezionare accuratamente i pazienti da trattare».