ANCONA – Il Pd verso la Costituente. Il via libera è arrivato ieri sera 6 dicembre nel corso della direzione regionale dei dem che si è svolta in modalità telematica con tanto di voto via mail. Nel corso dell’assemblea, alla quale hanno preso parte 45 persone tra membri eletti e per funzione, e gli invitati, il segretario dimissionario Giovanni Gostoli ha letto una relazione lunga quasi 16 pagine nella quale ha delineato le 5 ragioni alla base della sconfitta alle Regionali.
Il segretario dei dem nella sua disanima ha parlato di «divisioni interne», di perdita di credibilità e di un modello politico in crisi. «Le ragioni della sconfitta partono da lontano non è una scusante, ma un’aggravante che interroga l’intera classe dirigente del centrosinistra, soprattutto chi ha avuto ruoli di responsabilità ad ogni livello», poi ha evidenziato il «distacco sentimentale emerso nel voto negli anni in tornate elettorali che seppur differenti raccontano di un progressivo scollamento del nostro partito dalla società». Secondo Gostoli «è mancata quell’identità regionale che si costruisce con la politica e che a volte si è pensato di colmare con freddi statuti e regolamenti».
Inoltre non ha lesinato anche un mea culpa: «Ognuno ha la sua parte di responsabilità – ha detto – che, ovviamente, non è per tutti uguale. Da segretario regionale, nonostante sia stato eletto solo due anni fa con le Primarie a cui hanno partecipato oltre 12 mila marchigiani, sento di averne una in più degli altri e per questa ragione rimetto il mandato al partito e insieme a me l’intera segreteria».
Dopo oltre 5 ore di dibattito fiume online, è arrivato il voto degli aventi diritto che ha spalancato le porte alla Costituente eccetto 7 contrari, un quarto degli aventi diritto al voto: 2 sono stati i voti contrari e 5 gli astenuti su 30 partecipanti. Una Costituente che però vedrà proprio Gostoli e la sua segreteria al timone e che ha suscitato aspre critiche da parte di una ala del partito.
Ma il modo di arrivare al percorso scelto ha suscitato forti critiche da parte del parlamentare del Pd Mario Morgoni, del sottosegretario Alessia Morani, dei consiglieri regionali Antonio Mastrovincenzo, Romano Carancini e Marco Luchetti. «È stata una scelta al di sotto delle aspettative rispetto alla sconfitta elettorale: noi eravamo per il commissariamento, perché le lacerazioni profonde possono ricomporsi solo con una figura esterna al partito» spiega Morgoni, sottolineando che non si può arrivare al Congresso in tre mesi, prima è necessario «mettere polpa dentro a questo partito smagrito, ma per questo serve più tempo e bisogna coinvolgere nuovi elementi guardando anche fuori al partito».
A non piacere è il fatto che nonostante Gostoli e la sua segreteria siano dimissionari, saranno loro a traghettare il partito verso un cambiamento, che di fatto per Morgoni e gli altri a queste condizioni non è possibile. «Prima del Congresso è necessario rivitalizzare il partito e un commissario avrebbe potuto avere maggiori possibilità di successo visto che è molto difficile che fra noi possa tornare la sintonia». Il gruppo dei contrari però non intende mollare e annuncia la volontà di confrontarsi sulla questione.
Nel corso del suo intervento di ieri sera, Antonio Mastrovincenzo ha parlato di situazione inedita di opposizione in Consiglio Regionale, situazione per la quale ha posto l’accento sulla necessità di avere un confronto costante con iscritti e circoli così da avere un partito forte alle spalle, dopo la sconfitta «pesante e dolorosa» delle Regionali.
Il consigliere regionale ha detto che le responsabilità sono di tutti ma ha anche spiegato che ci sono differenziazioni a seconda dei ruoli ricoperti e delle scelte che si sono volute fare nel corso del tempo. Poi, riferendosi a Gostoli ha aggiunto «quando qualcuno si dimette lascia la guida del partito, non ci si può dimettere e rimanere a dettare la linea e traghettare il partito per un tempo indefinito, visto che il congresso annunciato non si sa quando si potrà tenere».
A questo riguardo ha citato due esempi illustri: Valter Veltroni nel 2009 e Matteo Renzi nel 2018, ricordando che i due leader dopo le sconfitte elettorali si dimisero, mentre nelle Marche «dopo tre mesi di silenzio assordante tutto rimane invariato». Un modo di agire che secondo Mastrovincenzo farà aumentare sempre di più il solco presente tra il partito e la comunità per questo motivo ha chiesto la convocazione dell’assemblea regionale e la nomina di un gruppo di “traghettatori” che conducano i dem ad un congresso «vero e aperto a livello regionale e provinciale: in questa fase serve una guida partito che sia legittimata e autorevole».