ANCONA – «Concludete presto le trattative, così velocizziamo le erogazioni». È l’appello rivolto dal presidente regionale Luca Ceriscioli alle parti sociali di stringere sui tempi così da arrivare ad un accordo sulle premialità per gli operatori sanitari che hanno partecipato in prima linea all’emergenza sanitaria scatenata dall’epidemia di coronavirus.
La Regione il 18 aprile scorso aveva stanziato 20 milioni di euro come riconoscimento economico all’impegno di medici, infermieri, e oss che avevano lavorato senza sosta fin dall’inizio dell’emergenza che ha riempito rianimazioni e rivoluzionato gli assetti degli ospedali marchigiani creando quelle aree covid che proprio in questi giorni sono in corso di smantellamento. Ma la questione era finita al centro di aspre polemiche provocando addirittura uno scontro fra sindacati con il Nursind che si era sollevato contro Cgil, Cils e Uil, ree di aver siglato una intesa che secondo il sindacato delle professioni infermieristiche stanzierebbe fondi già destinati dal Decreto Cura Italia.
Ora a un mese dal via libera ai 20 milioni il presidente regionale interviene sollecitando le parti sociali ad accelerare le trattative per la definizione dei criteri per la distribuzione delle risorse ai sanitari. «Esattamente un mese fa la Regione firmava un accordo con i sindacati stanziando 20 milioni di euro a favore di tutti coloro che hanno lavorato nell’emergenza covid dentro le strutture sanitarie – dichiara Ceriscioli – . Una scelta forte, molto chiara, di sostegno in termini materiali rispetto alle persone che hanno vissuto in prima linea questa emergenza, con un valore di circa 1000 euro per addetto che ovviamente vanno distribuiti secondo dei criteri».
Fondi che però non sono stati ancora erogati «perché serve per il loro utilizzo l’accordo con i sindacati» puntualizza il governatore nel precisare che «il tempo non è una variabile indipendente, non possiamo farne passare troppo, non è giusto nei confronti di tutte queste persone. L’auspicio è che si chiuda velocemente l’accordo e che si possa attraverso le aziende distribuire finalmente queste risorse. A costo di fare una trattativa ad oltranza in cui ci alza quando è finita, è arrivato il momento di concludere per garantire ciò che è stato stabilito ai destinatari delle risorse».
Al centro della questione il fatto che una parte dei 20 milioni (11 milioni) derivino da prestazioni aggiuntive orarie che secondo il Nursind «andranno solamente a retribuire quanto dovuto per il lavoro svolto dagli operatori sanitari». La cifra messa a disposizione, derivante in parte dal Decreto Cura Italia e in parte dalla Regione, inizialmente era stata vincolate ai tetti di spesa sanitaria, una questione risolta con l’ultimo Decreto governativo, quello del 17 maggio.
«Il decreto rilancio si è mosso nella direzione che auspicavamo rimuovendo i tetti di spesa – dichiara Pintucci -, anche se non sarà sufficiente ancora a garantire al 100% i famosi mille euro medi, perché i 20 milioni messi a disposizione dalla Regione non sono ancora tutti per le premialità». Di questi 20 milioni, infatti, spiega Pintucci 6.422.653 arrivano dal Decreto Cura Italia, 2.026.750 da altre disposizioni legislative di integrazione dei fondi della dirigenza sanitaria, 870 mila euro arrivano da ulteriori fondi riservati a medici convenzionati e 118, mentre la voce più grossa, 11 milioni di euro sono stati messi a disposizione dalla Regione per le prestazioni aggiuntive orarie. Trattandosi però di prestazioni orarie aggiuntive, quindi da svolgere, «per rendere l’operazione premiante, si potrebbe usare risorse regionali per ridurre la quota delle prestazioni aggiuntive», conclude Pintucci evidenziando che tra le novità del Decreto Rilancio c’è anche la possibilità di raddoppio dei 6.4 milioni sempre extra tetto di spesa.
Ma che ne pensano i diretti interessati? «La questione non sono i mille euro che non ci permettiamo di rifiutare in un periodo come questo dove c’è gente che ha perso il lavoro ed è in difficoltà economica, è un riconoscimento che ci fa sicuramente piacere, ma non ci alziamo ogni giorno e andiamo a lavorare in ospedale per i soldi, la nostra è una missione», osserva Monica Discepoli, infermiera della Rianimazione dell’ospedale di Senigallia, convertito in struttura per i pazienti covid-19. Il problema secondo l’infermiera «è che la nostra professione non è compresa. Ci siamo trovati a dover affrontare una emergenza sanitaria sotto organico, ma occorre capire che per mandare avanti un ospedale serve personale e formato. Purtroppo siamo una categoria non considerata nonostante sono anni che portiamo avanti gli ospedali, inoltre con l’ultimo contratto siamo stati ulteriormente penalizzati sul fronte delle indennità».