ANCONA – In Italia il ceto medio «si sfibra» e i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa, mentre «fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari». È la fotografia scattata dal Censis nel 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
Il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record si legge nel report, il record degli occupati e del turismo estero, ma anche il record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale (51,7%). Secondo il Censis il Paese si trova «in una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi». La spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata. Negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale.
Gli italiani mostrano una «crescente avversione ai valori costitutivi dell’agenda collettiva del passato: il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo». Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.
Le questioni identitarie assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica, svela il Censis. «La rivalità delle identità e la lotta per il riconoscimento implicano l’adozione della logica ‘amico-nemico’: il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso.
«Che gli italiani si siano impoveriti c’è poco da stupirsi – commenta il professor Francesco Orazi, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università Politecnica delle Marche – già altre fonti mostravano questa tendenza. L’Italia ha perso capacità produtttiva e ha sibito una contrazione dei salari ultradecennale, elementi che generano una serie di effetti a cascata, come ad esempio la crisi della democrazia e il fatto che gli italiani siano contrari al riarmamento che comportrebbe una ulteriore contrazione del welfare o nuove tasse.La cittadinanza oggi è più propensa a salvaguardare i servizi essenziale più che a procacciare soldi per il riarmo».
Per quanto riguarda il dato sull’astensionismo questo segnala una sfiducia dei cittadini, spiega, «c’è uno scollamento pluridecennale tra la politica del ‘palazzo’ e le esigenze delle persone. La politica è sempre più screditata e disancorata dalla realtà delle persone. Negli ultimi venti anni l’1% più ricco della popolazione – prosegue – ha finito per accumulare ricchezze ingentissime a svantaggio del resto della popolazione. Gli imprenditori più ricchi d’Italia hanno un patrimonio che vale l’8,4% del Pil del Paese, c’è stato un accentramento di ricchiezza in pochissime mani, con un impoverimento crescente del resto della popolazione».
L’esperto evidenzia che la sfiducia verso l’Unione Europea nasce «dall’incapacità dell’Europa di darsi politiche unitarie e di strutturarsi, mentre abbiamo linee guida su problemi che non sono importanti né prioritari». «Oggi la politica è fortemente condizionata dall’economia e dalla cassa di risonanza mediatica. Il problema europeo lo vivremo sempre di più, sia per la crisi industriale che per la guerra. C’è un conflitto sociale molto rilevante che la politica non è in grado di rappresentare. Il quadro fotografato dal Censis fotografa una dinamica che mi preoccupa molto, specie per il futuro delle nuove generazioni».