Ancona-Osimo

Ru486, “Le donne avanzano” domani in Piazza Roma ad Ancona: «Ingerenze gravissime della Regione»

La rete delle donne marchigiane che non si riconosce sotto nessuna bandiera politica torna a manifestare per difendere i diritti femminili acquisiti con un anno di faticose battaglie. Ecco le loro ragioni

Il flash mob davanti al consultorio di Ancona

ANCONA – Difendere la legge 194, un diritto acquisito in quarant’anni di faticose battaglie del mondo femminile, per conservare la facoltà di dire di no, anche se dolorosamente, ad una nascita, ma anche un nuovo welfare per rendere le donne veramente libere, autodeterminate e dare concretezza a quella tanto declamata parità che sembra così dura da raggiungere nella realtà. È questo che spingerà domani la rete femminile “Le donne avanzano” a manifestare domani pomeriggio, 6 febbraio, alle 16,30 in Piazza Roma ad Ancona. 

Il movimento che non si riconosce sotto alcuna bandiera politica, va all’attacco sulla questione aborto, spiegando che «negli ultimi mesi il corpo delle donne marchigiane è stato terreno di lotta, stigma e cattive narrazioni. Dalle omelie dei preti alle dichiarazioni della Giunta Acquaroli, il messaggio è arrivato chiaro, per quanto a noi fosse già noto: una propaganda spudorata sui nostri corpi, a scapito del nostro diritto ad autodeterminarci e scegliere, a scapito della tutela della nostra salute sessuale e riproduttiva».

Un attacco che il gruppo femminile sottolinea si sta allargando e oltre ad interessare le Marche coinvolge l’Umbria, il Piemonte, il Veneto, e anche nazioni come la Polonia, dove «l’estrema destra vuole riportare indietro i diritti conquistati dalle lotte delle donne. Un programma basato sull’integralismo reazionario religioso, apertamente dichiarato al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del 2019: i nostri corpi come mere incubatrici di figli bianchi per la patria e le nostre vite, i nostri desideri, sacrificati sull’altare della famiglia tradizionale».

Il caso era scoppiato in Consiglio regionale nel corso di una seduta quando c’era stato un faccia a faccia tra l’assessore alle Pari Opportunità Giorgia Latini (Lega) e la consigliera regionale Manuela Bora (Pd) che avevano battagliato sulla Ru486, la pillola abortiva, ed era poi proseguito, accentuandosi, in una seduta successiva nella quale la Giunta aveva annunciato di non voler consentire la distribuzione della Ru486 nei consultori.

Ad accendere ulteriormente gli animi erano state le affermazioni di Carlo Ciccioli, capogruppo di Fratelli d’Italia, che aveva dichiarato che la Regione deve puntare sulla natalità per evitare il rischio di una «sostituzione etnica» del popolo marchigiano. 

«La decisione di non somministrare la pillola Ru486 nei consultori, in piena violazione delle linee di indirizzo del governo e della piena applicazione della legge 194 – incalza la rete femminile – , e la rivoltante proposta di apertura ad associazioni private per il diritto alla vita sono ingerenze gravissime della Regione sul rapporto delle donne col proprio corpo; si potrebbe cadere nell’errore di considerarle emergenze, minacce imminenti, ma noi abbiamo buona memoria e nessuna indulgenza».

Il gruppo però non fa sconti a nessuno e sottolinea anche «non dimentichiamo gli anni di mala gestione delle strutture pubbliche e dei consultori da parte di giunte di centrosinistra che hanno tollerato e normalizzato tassi di obiezione di coscienza massiccia (dall’80% del maceratese e degli ospedali di Fano e Civitanova al 100% di Fermo e Jesi).
Noi non dimentichiamo che la somministrazione della pillola abortiva Ru486, di fatto, non ha mai davvero preso piede se non in tre strutture: San Benedetto, Urbino e Senigallia. Non dimentichiamo che solo il 6% delle interruzioni di gravidanza, nelle Marche, avviene con metodo farmacologico e la lettura di questo dato si aggrava nell’attuale contesto pandemico».

Insomma una regione, le Marche, arretrata su questo fronte che secondo la rete femminile rischia di arretrare ulteriormente. Tanti i nodi sul tavolo, i consultori pubblici chiusi negli anni, «la metastasi delle strutture private e dei movimenti pro-life» e la «stigmatizzazione del diritto ad abortire portata avanti disgustosamente sulla nostra pelle».

«Non ci fermeremo qui – avvisano -, non ci interessa dialogare con chi ha contribuito al depotenziamento dei diritti, né con chi cerca facile consenso sfruttando la nostra voce, i nostri corpi, le nostre storie. Rivendichiamo la costruzione di un percorso dal basso, basato sulle buone pratiche femministe, portato avanti dalle realtà collettive che sono sui territori, che li vivono, attraversano e presidiano. Non accetteremo un ritorno allo status quo precedente, vogliamo molto di più».

Fra le richieste del gruppo che ha scelto l’hashtag  #moltopiùdi194, la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanzan sicura, gratuita e «garantita in tutte le strutture ospedaliere pubbliche. Vogliamo che la pillola Ru486 sia somministrata in tutti i consultori, in day hospital e dal personale ostetrico». Poi il potenziamento dei consultori, come «luoghi a tutela delle donne, della loro salute, sessuale e riproduttiva; luoghi in cui le donne possano ricevere, se richiesto, supporto adeguato e laico alla scelta. Vogliamo il ripristino della funzione dei consultori come era stata concepita dalla legge 194/78. Vogliamo gli obiettori e ogni sorta di movimento oscurantista fuori dagli ospedali e dai consultori pubblici».

L’accento non manca sull’importanza della contraccezione gratuita, sull’educazione sessuale e di genere nelle scuole, capisaldi «per costruire consapevolezza, e la libertà di autodeterminarci, per ripartire dai nostri desideri», ma nel nucleo delle rivendicazioni c’è anche quella di un nuovo welfare a sostegno della donna. «Vogliamo un reddito di autodeterminazione per essere realmente libere di scegliere», poi parità salariale, congedo di paternità, servizi pubblici e gratuiti che garantiscano un reale sostegno alla genitorialità, restando però libere di «decidere quando essere madri, senza interferenze di preti o Stato» perché come affermano la genitorialità «non è un obbligo, deve essere sempre frutto di scelte informate, libere e consapevoli, per tutte e tutti, anche al di fuori della famiglia eterosessuale».

La rete ribadisce il concetto espresso davanti ai Consultori: «#questaèguerra, e non ci spaventano gli assessori di turno, le dichiarazioni fuori luogo e fuori tempo di chi, in nome della difesa della vita, fa politica sui nostri corpi e sulla nostra capacità di autodeterminarci. Il 9 gennaio, su tutto il territorio marchigiano, abbiamo lanciato un messaggio chiaro: le
donne avanzano».  Il gruppo annuncia che manifesterà nuovamente il 6 marzo, in vista della Giornata internazionale della Donna che ricorre l’8 marzo, «una data simbolo per tutti».