ANCONA – Nelle Marche le perdite d’acqua dalle condotte idriche pubbliche si aggirano intorno al 30-35%, un dato «comunque migliore della media nazionale», sul quale diverse aziende del Servizio Idrico Integrato, grazie anche a importanti fondi del PNRR, è impegnata per arrivare ad una riduzione. Lo spiega il professor Francesco Fatone, membro del Comitato Tecnico-Scientifico di ECOMONDO con responsabilità per l’intera area Water e professore ordinario di Ingegneria Chimica ed Ambientale e Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ingegneria Civile, Ambientale, Edile ed Architettura presso l’Università Politenica delle Marche.
L’esperto dell’Univpm spiega «si parla spesso di acqua solo per uso domestico, ma in realtà il maggior consumo avviene in agricoltura e a livello industriale, per questo bisogna ottimizzare l’impiego della risorsa idrica in tutti gli ambiti». L’Ateneo dorico con il professor Fatone si è aggiudicato numerosi progetti internazionali per uso di fonti alternative d’acqua, principalmente acque reflue trattate. Tra l’altro il docente collabora con il Commissario Straordinario Nazionale alla Depurazione anche per l’adozione di riutilizzo di acque reflue per combattere emergenza idrica.
«Più del 50% dell’acqua potabile viene impiegata in agricoltura, dal 20 al 30% nell’industria e la restante quota per uso domestico – spiega Fatone – bisogna misurare sempre meglio monitorare in maniera esatta il consumo nell’agricoltura e nell’industria per mettere in atto strategie di efficientamento». Anche se le precipitazioni piovose sono state inferiori rispetto all’anno scorso nelle Marche ci sono state, ma sono risultate più «irregolari» e sparse.
Un fenomeno di cui bisogna tenere conto secondo il docente nella definizione delle strategie. Per trattenere l’acqua piovana e usarla per l’agricoltura e l’industria servono «invasi, di grandi e piccole dimensioni, ma servono anche fonti alternative d’acqua, come le acque reflue trattate che possono essere impiegate in agricoltura e nell’industria. «Misure che vanno programmate – prosegue – e che non si possono fare in emergenza. Nelle situazioni emergenziali sono necessari impianti mobili e containerizzati, ma questo non deve distogliere dalla necessità di immediate soluzioni strutturali, perché il problema si riproporrà».
Tra le soluzioni, oltre agli invasi, per l’acqua potabile il docente individua anche migliore uso delle acque di falda ed, eventualmente, dissalatori per le aree costiere ad alta vocazione turistica, «dopo attente verifiche della sostenibilità tecnica, economica ed ambientale».