ANCONA – La spirale di rincari che investe il carrello della spesa, le bollette di luce e gas, i mutui e gli affitti, erodendo il potere di acquisto delle famiglie crea un quadro di incertezza che investe non solo l’economia, ma anche lo stato d’animo delle persone, innescando un mix di ansia, rabbia, stress e timore per il futuro. Una situazione di ‘instabilità’ che era già stata innescata dalla pandemia di Covid-19, che aveva scosso alla base tante certezze, e poi aggravata dalla guerra in Ucraina, con tutto il corollario di risvolti che tutti abbiamo visto. E gli effetti negativi sulla salute mentale e psichica delle persone non hanno tardato a manifestarsi.
Insomma, i motivi per sorridere in questa fase storica non sono molti, ma nella Giornata Mondiale del Sorriso (World Smile Day) vogliamo riflettere sull’importanza del buon umore per la salute fisica e mentale. Effetti positivi dimostrati da numerose ricerche scientifiche. Ne abbiamo discusso con il professor Umberto Volpe, direttore della Clinica di Psichiatria dell’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche.
«Il sorriso è un atto spontaneo – spiega lo psichiatra -, Rabelais diceva appunto che “rider è cosa umana”. Nella sua semplicità, l’atto del sorriso, tuttavia, cela una notevole complessità che solo negli ultimi decenni stiamo comprendendo a pieno. Il moto espressivo del viso del sorriso, nella nostra specie serve a comunicare affettività positiva (felicità, piacere, benessere, gratificazione, divertimento) ai nostri simili e richiede la contrazione di sei coppie di muscoli facciali (in particolare, il muscolo risorio e gli zigomatici). Ma i suoi effetti sono assai più ampi: sorridere non solo migliora le nostre performance mentali (ottimizza memoria, apprendimento e creatività) ma aiuta a combattere lo stress (riduce cortisolo e adrenalina) e contribuisce a determinare uno stato di benessere (favorisce il rilascio di serotonina, dopamina ed endorfine), modulando positivamente il nostro stato di salute (secondo gli studi ormai storici di William Fry, ridere migliora la funzionalità cardiovascolare e riduce il rischio di disturbi neurovegetativi correlati allo stress)».
Lo psichiatra sottolinea «oggi abbiamo contezza dei meccanismi psico-neuro-endocrinologici alla base di questi effetti che coinvolgono le regioni paleocorticali (cioè quelle evolutivamente più antiche) del cervello, ma da molti secoli l’uomo ne ha percepito la natura istintiva ed incondizionata, così come il valore altamente positivo. Aristotele, nel libro secondo della sua Poetica, già reputa il riso un esercizio prezioso per la salute e i rapporti interpersonali. Anche i grandi medici dell’antichità, Ippocrate prima e Galeno poi, attribuivano al sorriso la capacità di liberare sostanze benefiche ed influenzare positivamente il decorso delle malattie. Anche il filosofo Kant affermo che il sorriso era in grado di generare armonia e di liberare una carica di tensione emotiva positiva. Sarà però Charles Darwin ad investigare per primo scientificamente il fenomeno del sorriso: studiando la mimica facciale dei grandi primati, egli notò che il solletico o il gioco producevano vocalizzazioni simili al riso. Lo psicobiologo estone Jaak Panskepp ha più recentemente dimostrato che il riso è un atto motorio comune a molte più specie di mammiferi di quanto si credesse in passato: alcuni squittii dei roditori, associati ai riti di gioco, hanno lo stesso valore biologico e comportamentale del sorriso umano».
Recenti ricerche neurobiologiche hanno dimostrato che provocare atti equivalenti al ridere nei ratti promuove la nascita di nuovi neuroni e che, negli esseri umani, la risata si associa ad una modulazione emotiva più positiva, allontanando sentimenti ed emozioni negativi come angoscia, disperazione, paura, e stimolando processi mentali superiori positivi (appagamento, buon umore, gratificazione, benessere), a volte «con effetti di tranquillizzazione psicomotoria e addirittura antidolorifici. Il sorriso è dunque un atto di comunicazione non verbale dal grande valore tanto semiologico quanto biologico. Sigmund Freud aggiunge a tali considerazioni un valore “liberatorio” del ridere, in quanto riteneva il sorriso un ottimo modo per gestire profonde pulsioni inconsce. Ma la psicologia sperimentale – spiega – più recente ha sottolineato che il sorriso svolge altre funzioni psicologiche fondamentali, quali permettere e sostenere la vicinanza sociale: quando salutiamo qualcuno sorridendo lo invitiamo ad avvicinarsi a noi, gli comunichiamo disponibilità all’approccio e ci prepariamo ad accogliere la relazione con l’altro».
Insomma, non sorprende che il sorriso sia divenuto, almeno negli ultimi anni, anche uno strumento terapeutico vero e proprio. «Fin dagli anni’70 del secolo scorso, negli Stati Uniti prima ed in Europa poi, si è diffuso l’approccio chiamato appunto “terapia del sorriso” o “clown-terapia”, una tecnica di sostegno psicologico che si basa sull’introduzione della figura del clown in reparti ospedalieri, in residenze per anziani, in orfanotrofi e centri diurni proprio per stimolare le persone affette da disturbi fisici e mentali, ricoverati in ambienti spesso associati a vissuti negativi, a sorridere e a promuovere uno stile relazionale più positivo, a ridurre le emozioni negative, ad attivare esperienze e ricordi gratificanti. Lo psicologo statunitense Paul Ekman tuttavia ci avvisa che non tutti i sorrisi sono uguali: gli effetti benefici del sorriso – prosegue lo psichiatra – sono attribuibili solo al sorriso spontaneo e genuino mentre un sorriso falso o simulato (che coinvolge solo alcuni muscoli, in modo asimmetrico, prevalentemente quelli della metà inferiore del viso) è un atto meccanico e poco autentico, che può esprimere diverse emozioni e sentimenti (anche negative, dal sarcasmo all’ansia). Alcune persone, infatti, possono sorridere anche se in realtà si sentono tutt’altro che felici o rilassati. Alcuni anni or sono, si è tornati a parlare della “smiling depression”, una condizione depressiva atipica in cui la riduzione del tono dell’umore è appunto “mascherata” dal sorriso che viene offerto al prossimo».
Un team di psicologi di Cambridge, alcuni anni or sono, ha tuttavia dimostrato che dietro l’apparente star bene, alcune persone soffrono di una profonda flessione del tono dell’umore associata a sentimenti di inaiutabilità e sensazioni di essere “senza speranza”, «che possono condurre all’ideazione suicidaria. Queste condizioni – osserva – sono caratterizzate da un peggioramento dei sintomi nelle ore notturne, un aumentato bisogno di dormire, un’ipersensibilità alle critiche e una netta tendenza a rimuginare su episodi del passato, senza comunicare la propria tristezza e fragilità all’esterno e senza accettare di avere un problema. Per tali motivi, le “depressioni sorridenti” sono tra le più difficili da individuare e trattare. In questi casi, è molto difficile “farcela da soli” e l’augurio è che nella giornata mondiale del sorriso (inaugurata vent’anni or sono per celebrare l’inventore dell’emoticon “smile”, Harvey Ball) possa rappresentare un’occasione utile per far luce anche su questo fenomeno poco evidente, ma assai diffuso: si stima che colpisca tra il 15% e il 40% dei soggetti depressi), ovvero in quei casi in cui non basta dirsi “sorridi e la vita ti sorriderà”».