ANCONA – Il percorso di emancipazione femminile è lungo e laborioso, per certi versi non ancora risolto nei diritti, basti solo pensare alla parità salariale e di carriera, tutt’oggi ancora non raggiunte. In Italia le prime donne a sfidare una società ancora incentrata totalmente sul maschio furono Anna Maria Mozzoni, Teresa Labriola e Anna Kuliscioff, ma la parità giuridica formale arrivò più tardi, solamente nel 1948 con la Costituzione, anche se molti diritti rimasero solo sulla carta. Le fratture della memoria. Storia delle donne in Italia dal 1848 ai nostri giorni, libro scritto da Marco Severini ed edito da Marsilio, ripercorre il cammino compiuto dalle donne negli ultimi 175 anni nella vita pubblica e verso la modernità. Professore di Storia dell’Italia contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, abbiamo intervistato il professor Severini, spaziando fra i contenuti del libro e l’attualità.
Quali sono state le donne marchigiane che hanno lasciato un segno nella storia?
«In generale le italiane dell’Ottocento, discriminate nelle tradizioni e nella legge attraverso il codice civile del 1865, hanno rivelato un coraggio tanto incredibile quanto obliato. Dieci maestre della provincia di Ancona divennero, il 25 luglio 1906, le prime elettrici della storia italiana ed europea. Elisa Comani, di origini bergamasche ma radicata da tempo nelle Marche (si laureò in legge a Camerino, fu nel 1919 la prima avvocata italiana. Ma ve ne sono di meno conosciute, come le ragazze di Marotta e quella di Montignano che, nel novembre 1917, salvarono parte degli equipaggi di due unità navali incagliatesi a largo della costa marchigiana. Infine, non certo ultima, Adele Bei, l’unica marchigiana eletta, il 2 giugno 1946, all’Assemblea Costituente, politica indomita e sindacalista appassionata».
Il libro ripercorre gli ultimi 175 anni di storia italiana, anni di battaglie sociali e di grandi mutamenti. Quali sono le risorse che le donne sono state capaci di esprimere in questi passaggi storici cruciali verso la modernità? E quale il loro insegnamento?
«Le italiane sono partite da un’idea di uguaglianza con l’altro sesso, per contrastare la discriminazione e la subordinazione secolari, per affermare nel corso del Novecento il concetto di differenza. Con la contestazione degli anni sessanta-settanta questo concetto si sviluppa insieme ad altri: il rifiuto della complementarità delle donne in qualunque ambito esistenziale; la critica verso l’istituto del matrimonio; il riconoscimento del lavoro delle donne come produttivo; la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità soggettiva e svincolata dalle richieste maschili; la liberazione dai condizionamenti delle ideologie dominanti, ritenute irrimediabilmente maschili e patriarcali».
Nonostante le grandi conquiste compiute nel percorso di emancipazione, tutt’oggi tra i temi al centro del dibattito pubblico ci sono ancora le discriminazioni fondate sul genere, la violenza domestica contro le donne e il femminicidio: l’ultimo caso solo pochi giorni fa a Cerreto D’Esi. Una battaglia culturale ancora tutta aperta…
«Secondo FemminicidioItalia.info, che conteggia i femminicidi in Italia, nel 2022 ce ne sono stati 58, stesso numero di quelli rilevati nel primo semestre del 2023. Il Femminicidio si può contrastare solo partendo da una grande riforma culturale e civile. Perché c’è una violenza fisica, ma anche una economica, perché le donne guadagnano ancora meno rispetto agli uomini in diverse occupazioni e una di carattere strutturale, più generale, che si alimenta quotidianamente di pregiudizi e di luoghi comuni. Un riconosciuto maestro come Norberto Bobbio ci ha ricordato come ogni pregiudizio si combatta con una conoscenza adeguata, con la democrazia, la libertà e un’educazione orientata verso valori universali. Inoltre, Bobbio ha sostenuto come il movimento di emancipazione femminile sia «la più grande (io sarei tentato di dire l’unica) rivoluzione del nostro tempo»; il pregiudizio più odioso è costituito dal mito della superiorità dell’uomo sulla donna, anche perché il pregiudizio antifemminile, a differenza di quelli di natura razziale e sociale che sono espressione di una maggioranza verso una minoranza, si rivolge verso una maggioranza, appunto le donne».
Il gender gap è ancora una realtà, senza contare che sono poche le donne che rivestono figure apicali in società di grandi dimensioni…
«La classifica mondiale del divario di genere stilata ogni anno dal World Economic Forum vedeva, nel 2022, l’Italia poco più in alto di metà classifica, al 63° posto su 146 Stati, superata da una ventina di paesi europei; poco meglio vanno le cose nella specifica classifica dedicata al political enpowerment dove l’Italia è 40°; 36° per numero di donne in Parlamento, 33° per numero di ministri donne, ma ultima in compagnia di quasi tutti per assenza totale di leader donne in tutta la storia, fino a Giorgia Meloni. Accanto a lei abbiamo dal 12 marzo scorso una leader di opposizione donna, Elly Schlein, trentasettenne. Ma l’8 marzo scorso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dedicato la Giornata internazionale della donna alle donne dei paesi in cui i diritti sono una chimera (come l’Iran e l’Afghanistan), avendo accanto due donne, Silvana Sciarra e Margherita Cassano, rispettivamente le prime donne a presiedere la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione. Forse qualcosa sta cambiando, visto che manca solo un Capo di Stato donna: Ripeto: le cose devono cambiare in profondità, partendo dal basso, dai comportamenti di tutti i giorni».
Guardiamo insieme avanti: dobbiamo passare dalle “quote rosa” a.…?
«A un’idea che metta da parte qualsiasi discriminazione e subordinazione nel sesso come in ogni altro aspetto, visto che l’ha sancito l’art. 3 della nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La società italiana è ancora, per certi versi, maschilista e patriarcale. Fino a quando questo maschilismo non verrà superato da un profondo cambiamento culturale e civile, le novità avranno scarsa incidenza nella nostra quotidianità».