ASCOLI – «Questa non è una scarpa, è una pantofola. Una pantofola d’oro». Arrivò fino ad Ascoli Piceno, John Charles, il leggendario giocatore della Juventus, per provare quegli scarpini di cui tanto aveva sentito parlare. E fu proprio lui, inconsapevolmente, alla fine degli anni 50, a dare il nome a uno dei marchi che oggi è sinonimo di lusso e di qualità a livello internazionale.
Lottatore per passione e calzolaio di professione, Emidio Lazzarini ricevette l’azienda, una piccola bottega ad Ascoli Piceno, da suo padre. Ma l’eccellenza delle sue creazioni artigianali era talmente elevata che quel cognome iniziò a circolare fra gli sportivi, finendo appunto sotto i riflettori. Nasce proprio da lì la storia di successo di Pantofola d’Oro.
Un brand che, da inizio anni 2000, ha vissuto una seconda rinascita. Dopo anni di chiusura è stata infatti ripresa la produzione, continuando con le scarpe da calcio, e creando una linea di scarpe da tutti i giorni, rifacendosi sempre a quei primi modelli artigianali pur rielaborati nella forma e nei materiali. Il tutto rigorosamente made in Italy e “a mano”.
Quella storia di grande artigianato, lunga 130 anni, oggi è in vetrina anche a Manhattan, New York, dove Pantofola d’Oro ha di recente aperto un negozio monomarca che consente addirittura al cliente di personalizzare le scarpe a piacimento. Kim Williams è l’amministratore delegato, colui che sta rilanciando il marchio ascolano in un contesto non certo agevole per il calzaturiero marchigiano. (leggi l’articolo)
Qual è lo stato di salute del settore nelle Marche?
«La situazione non è delle migliori – osserva l’amministratore Williams -. Tantissime aziende sono in difficoltà e chi non ha un marchio proprio fa molta fatica. Il non aver fatto gruppo negli anni 90-2000, il non aver attivato sinergie e costruito salde collaborazioni, adesso si fa sentire. Chi lavora a livello qualitativo comunque la sua nicchia di mercato riesce a garantirsela».
Pantofola d’Oro, al contrario, cresce. Quale il segreto del successo?
«Senza dubbio la grande storia del brand, riconosciuta ovunque. Inoltre siamo attivi sia nel segmento sportivo che in quello del tempo libero ed abbiamo elaborato strategie proficue per entrare nei mercati asiatici, soprattutto Giappone e Korea. Il nuovo sviluppo del progetto “Custom Made” (come il negozio di New York ndr.), inoltre, sta avendo i primi riscontri positivi».
Quali gli obiettivi futuri?
«Due in particolare: consolidare l’alta gamma nel calcio e sviluppare il mercato americano».
C’è qualcosa che vorrebbe chiedere alle istituzioni per sostenere l’artigianato di qualità?
«Certamente. Servirebbero maggiori agevolazioni e un’attenzione particolare per quei marchi che lavorano al 100% in Italia».