ANCONA – Tutto il mondo si tingerà di blu domenica 2 aprile per la decima edizione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Una patologia cresciuta di dieci volte negli ultimi 40 anni e che, in base ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, colpisce nel mondo almeno 1 bambino su 160. Questa giornata, sancita dalle Nazioni Unite nel 2007, ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla patologia autistica e, con la campagna mondiale “Light it up blue“, vuole far luce su questa disabilità, promuovendo la ricerca e contrastando le discriminazioni. Dal 2002 l’Angsa Marche (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) è impegnata a tutela e sostegno delle persone autistiche e delle loro famiglie. Ne parliamo con la presidente Antonella Foglia.
Perché il 2 aprile non accenderete le luci blu?
«Anche quest’anno, come l’anno scorso, non abbiamo intenzione di chiedere alle varie amministrazioni di illuminare di blu edifici o monumenti significativi, in segno di protesta per l’indifferenza delle Istituzioni regionali e nazionali rispetto ai gravissimi problemi che le famiglie si trovano a fronteggiare ogni giorno. In particolare nella nostra regione il maggior carico lo sopportano soprattutto le famiglie con figli adulti, che rappresentano la parte più fragile e completamente priva di riferimenti».
Qual è il significato della giornata del 2 aprile e cosa organizzerete?
«Per noi il 2 aprile è tutti i giorni, perché continuamente lavoriamo per sostenere le famiglie, partecipiamo ad incontri nei comuni, in regione, elaboriamo documenti, studiamo e ci confrontiamo per poter essere utili ai nostri figli, a quelle famiglie che non hanno la forza di combattere, e soprattutto alle persone autistiche che una famiglia neanche ce l’hanno. Per questi motivi, negli anni ci siamo convinti che il 2 aprile non ha senso se non è seguito da un grande impegno tutto l’anno. Se si deve trasformare in una passerella mediatica in cui politici e personaggi vari fanno comizi e promesse che poi non manterranno, beh, noi non siamo più interessati: per troppo tempo siamo stati presi in giro, e non abbiamo più intenzione di sprecare del tempo prezioso. Il primo aprile saremo all’IPSIA di Corridonia, scuola dove i compagni di un ragazzo autistico hanno creato un software di comunicazione selezionato al Maker Faire del MIUR. Ci sarà la proiezione del film “The Black Balloon” e poi un dibattito con alunni, insegnanti, genitori, operatori, in presenza di un giovane uomo autistico».
Cosa manca nella scuola per rispondere correttamente ai bisogni educativi degli allievi con sindromi dello spettro autistico?
«Nella scuola mancano le basi per far fronte ad una disabilità così complessa: continuità didattica, formazione degli insegnanti sono attuate solo in poche “isole felici” e anche in questo campo tutto grava sulle spalle delle famiglie e della disponibilità dei singoli. Per non parlare, poi, della cosiddetta “rete” che non è altro che una parola abusata e non tradotta in pratica: abbiamo addirittura letto di episodi di rifiuto di accettare bambini autistici nella scuola, perché troppo complicati da “gestire”».
A che punto è l’integrazione sociale e lavorativa delle persone affette da autismo?
«Praticamente è al punto zero, se si eccettua qualche caso di persone autistiche ad alto funzionamento e qualche bella ma rarissima esperienza messa in piedi da genitori che ne hanno avuto la forza, i mezzi e il rarissimo sostegno delle istituzioni. Però sono casi estremamente rari, e non possono costituire la regola, perché non tutte le famiglie hanno la possibilità di “vicariare” le istituzioni. L’impegno in prima persona va bene, ma non può tutto ricadere sulle spalle di famiglie normali».
Le famiglie di bambini affetti da autismo vivono dunque non poche difficoltà.
«Nella nostra regione la situazione dei bambini è migliore rispetto ad altre regioni italiane, perché fin dal 2003 a Fano è operativo il Centro di riferimento regionale per l’Età Evolutiva, che fa diagnosi e progetti di interventi educativi di tipo cognitivo-comportamentale. Da pochi mesi, poi, esiste anche il rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per l’attuazione di interventi di questo tipo. Diversa, invece, è la situazione degli adulti, per cui non è stato ancora istituito alcun Centro di riferimento medico/riabilitativo a cui le famiglie, ma anche gli operatori dei centri diurni, o delle comunità residenziali possano rivolgersi per elaborare interventi medici o programmi abilitativi adeguati. In mancanza di un’equipe di riferimento vengono da anni sciupate risorse umane e finanziarie, e mi riferisco ad educatori che la regione ha formato sull’autismo in passato, ad ore di rapporto 1:1 educatore-ragazzo nei centri o nei residenziali completamente finanziate dalla regione stessa. Ora, con l’enorme ritardo accumulato, anche se venisse in brevissimo tempo approvato un decreto che istituisce finalmente questo centro, quanto tempo ancora passerà prima che diventi effettivamente operativo, prima che il personale possa essere formato e preparato? E intanto i nostri figli crescono, sono grandi e non possono più aspettare. Non potevano aspettare già molto tempo fa…»
Cosa prevede la legge regionale n. 25 del 9/10/2014 e quali sono gli interventi ancora non realizzati?
«Questa legge regionale, alla cui stesura abbiamo partecipato attivamente, è una buona legge, molto più articolata e completa della legge nazionale n. 134/2015, ma il suo difetto, come tante leggi italiane, è che è rimasta quasi completamente lettera morta nella sua applicazione. Oltre alla mancata entrata in funzione del Centro di riferimento per gli adulti, non è ancora operativa la Comunità residenziale di Jesi, né alcun provvedimento è stato messo in campo per l’integrazione sociale, scolastica, lavorativa delle persone affette da autismo, nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale a tutti i livelli. Non è stata ancora istituita una banca dati, né iniziata una seria indagine epidemiologica».
Di cosa si occupa l’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici (ANGSA) delle Marche?
«Siamo un gruppo di genitori volontari, abbiamo figli con “Disturbo dello spettro Autistico”, e siamo impegnati fin dal 2002 a tutela e sostegno delle persone autistiche e delle loro famiglie. Negli anni, a stretto confronto con le istituzioni (a volte anche molto aspro), abbiamo più volte rischiato di essere molto impopolari, sempre schierandoci in difesa dei diritti dei più deboli. Non arrendersi mai, mettersi in gioco, ma anche proporre e collaborare sono le nostre parole chiave. Così siamo in prima linea ogni giorno per ottenere che venga rispettato innanzi tutto il diritto alla salute per le persone autistiche. Questo significa chiedere alla ricerca di impegnarsi seriamente per individuare le numerose cause biologiche, e di conseguenza le possibili cure per il disturbo; e alle Istituzioni che i nostri figli possano accedere ad interventi educativi adeguati».