PESARO – Il Tribunale di Urbino riconosce il diritto al bonus bebè anche senza il permesso di lungo soggiorno a una mamma albanese.
Il nodo riguarda il permesso da “lungosoggiornante” tanto che l’Inca Cgil ha promosso un ricorso contro l’Inps patrocinato dall’avvocato Antonella Lionetti.
Il sindacato spiega: «Con l’ordinanza emessa dal Tribunale Ordinario di Urbino nell’ambito della causa civile proposta nei confronti dell’Inps che aveva negato il diritto a percepire il bonus bebè ad una cittadina di nazionalità albanese, titolare di un permesso che le consente di lavorare in Italia ma priva del permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo, il Giudice del lavoro Andrea Piersantelli ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta dell’Inps, il cui diniego ha posto la lavoratrice straniera in una posizione di ingiustificato svantaggio rispetto al cittadino italiano, ordinando all’Inps di cessare la condotta discriminatoria e di pagare alla ricorrente il bonus bebè».
L’assegno di natalità – comunemente conosciuto come bonus bebè – è un sussidio mensile a sostegno del reddito familiare originariamente previsto per tre anni a partire dalla nascita del bambino o di ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento preadottivo poi ridotto a 12 mesi con la legge di Bilancio 2018 il cui riconoscimento è subordinato al possesso di un Isee non superiore a 25mila euro.
«Anche questa volta la sezione lavoro del Tribunale di Urbino nelle motivazione dell’emessa ordinanza ha confermato quanto già stabilito in precedenti pronunciamenti anche della Corte di Giustizia dell’UE e cioè che non si può negare il beneficio agli stranieri sprovvisti di un permesso di soggiorno di lungo periodo perché ciò contrasta con le disposizioni contenute nella Direttiva Comunitaria n 2011/98/UE che richiama il regolamento 883/2004 nel quale sono indicate le prestazioni di Welfare cui hanno diritto i cittadini stranieri, presenti nel territorio europeo, tra le quali rientra il bonus bebè».
Secondo l’ordinanza le conseguenze del dettato dell’Unione Europea in termini di diritto alle prestazioni è quella diretta a tutelare economicamente la maternità e la paternità in modo continuativo fino al compimento dei tre anni del bambino ed è corrisposto in modo automatico e non discrezionale laddove ricorrano i requisiti di reddito prescritti e trattandosi di una norma sovranazionale non ha bisogno di essere recepita e si colloca per gerarchia delle fonti normative al di sopra della legislazione nazionale imponendo la disapplicazione in caso contrario.
«Quindi, per il giudice di Urbino, qualsiasi disposizione nazionale che ponga lo straniero in una posizione di svantaggio rispetto al cittadino italiano riveste illegittima portata discriminatoria la quale si estende agli atti e comportamenti della pubblica amministrazione che ne fanno attuazione, compresa l’Inps».
Silvia Cascioli, segretaria confederale provinciale con delega alle politiche sull’immigrazione e i diritti di cittadinanza, commenta: «Siamo estremamente soddisfatti dell’esito dell’ordinanza, perché nel riaffermare quanto contenuto nelle direttive europee in tema di accesso al welfare per i cittadini stranieri, riafferma un principio a noi molto caro, quello della tutela della maternità e della paternità nel modo del lavoro, troppo spesso ancora oggi riconosciuto solo sulla carta. Ovviamente è ancor più paradossale che in questa occasione, ma non è la prima volta che accade, sia proprio un ente pubblico a rendersi protagonista di una decisione illegittima e discriminatoria come stabilito dal Tribunale».