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Cannabis light, anche la Corte di Cassazione chiede maggior chiarezza

La disputa sul Cbd come sostanza stupefacente o meno si arricchisce di un nuovo capitolo. Una sentenza della Cassazione dà infatti ragione a un negozio che ne aveva lanciato il commercio

CBD

ANCONA – Si è parlato moltissimo nelle ultime settimane della questione relativa alla cannabis light e del suo essere considerata o meno sostanza stupefacente. Dopo il passo indietro da parte del ministro della Salute Roberto Speranza, già pronto con il precedente decreto, a inserire il Cbd all’interno del novero delle sostanze stupefacenti, adesso la partita si arricchisce di nuovi capitoli.

A fornire un’importante chiave di lettura è stata la Corte di Cassazione, in particolar modo la terza sezione penale, che ha dato ragione all’azienda Cannabidiol Distribution imponendo che la questione dovesse tornare in mano al Tribunale ordinario. Facciamo un passo indietro. L’argomento è sempre lo stesso, le infiorescenze della canapa, la cannabis light appunto. L’azienda sopracitata, tra le prime a livello nazionale a lanciare sul mercato il Cbd, aveva subìto un sequestro in un proprio negozio a Torino impugnando immediatamente il provvedimento. La ragione data dalla Cassazione è supportata dal fatto che in Italia non ci sono norme precise che regolano la materia lasciandola alla libera interpretazione giurisprudenziale circa l’efficacia di questi sequestri.

La medesima Corte ha chiesto chiarezza sull’argomento, in virtù del fatto che ad oggi l’unica legge utile per il settore è la n.242 del 2016 che fissa dei limiti sul thc, la sostanza psicotropa per eccellenza della Canapa.