ANCONA – Nelle Marche si conferma una crescita inarrestabile della precarietà, percentualmente quasi del doppio rispetto alla media nazionale. L’analisi dei dati dell’Inps, elaborati dall’Ires Cgil Marche e relativi ai primi otto mesi del 2017, restituisce un quadro articolato e difficile dal quale emergono diverse problematiche.
Le assunzioni a tempo indeterminato sono 13.690, 1.151 in meno (-7,8%) rispetto allo stesso periodo del 2016, e -10.791 (-44,1%) rispetto al 2015. I contratti stabili rappresentano solo il 9,8% degli avviamenti mentre, nel 2015, erano oltre il 22,4% del totale dei contratti.
Aumentano significativamente le cessazioni dei contratti a termine (+40%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: un segno evidente di un utilizzo indiscriminato di contratti a termine di brevissimo periodo.
Il saldo tra assunzioni e cessazioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato è negativo per 9.116 contratti, cioè i licenziamenti di tempi indeterminati sono maggiori delle assunzioni nei primi otto mesi dell’anno. Anche questo è un effetto negativo del Jobs act che ha fornito alle imprese la possibilità di licenziare più facilmente.
Picco vertiginoso del lavoro precario con 69.981 avviamenti a tempo determinato (+40,9% rispetto al 2016) e 18.617 contratti stagionali, insieme rappresentano ormai l’85,3% delle assunzioni complessive.
Unica nota positiva, la crescita anche dei contratti di apprendistato con 3.258 assunzioni (+976 rispetto al 2016, pari a +42,6%). Nelle Marche, il crollo dei contratti a tempo indeterminato registra percentuali di quasi il doppio più alte rispetto al dato nazionale. Solo Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta fanno peggio.
«I contratti di lavoro attivati nelle Marche nel 2017 aumentano del 36% rispetto allo scorso anno ma crescono solo quelli precari mentre crollano quelli stabili», dichiara Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche – Questo è un chiaro segnale che descrive il tipo di sviluppo che nella nostra regione si sta consolidando: un’impresa che compete sul costo del lavoro non ha speranza di sopravvivere alla crisi. Invece che attendere gli sgravi nazionali, le aziende s’impegnino per consolidare l’occupazione giovanile».