«Ci sono stati momenti di terrore, ma la paura mi ha sempre aiutato a evitare i pericoli, o ad affrontarli nel modo giusto, con molta freddezza, tanta fantasia e con il sostegno dei miei compagni di squadra». A parlare è Cinzia Nicolini, anconetana, già Capo di Gabinetto della Questura di Ancona, dal 2021 a riposo dopo 37 anni in Polizia di Stato di cui 4 passati come agente sotto copertura in importanti missioni, in Italia e all’estero, di contrasto al traffico di droga e dei reati legati alla pedopornografia. Lei, unica donna nelle Marche e tra le pochissime in Italia ad aver esercitato una esperienza da “undercover”.
La Nicolini si è raccontata a Jesi venerdì sera, in occasione del convegno organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi dal titolo “Contrastare le organizzazioni criminali operando sotto copertura”. Con lei, tra il pubblico, c’era la figlia. «Non raccontavo niente a casa della mia attività, ma certo questo mestiere mi induriva tanto», ha raccontato l’ex poliziotta, e infatti, ha ribattuto a tono la figlia “quanti no, regole e disciplina riportava mamma poi a casa».
A sorpresa tra il pubblico due dei 5 poliziotti che formavano la “squadretta” in cui Cinzia operava sotto copertura: «
«Quanto a me – ha poi aggiunto la Nicolini – mi è capitato talvolta di interpretare il ruolo del boss. Tra boss maschi, non ho avuto mai nessun problema ad essere accettata dai criminali anche di alto rango nonostante fossi una donna. A quei livelli non conta il sesso, e nemmeno se sei mingherlina e con il volto gentile. Conta se sei un capo criminale. E se pensano che tu lo sia, ti rispettano. Ho corso dei rischi? Certamente, un agente di copertura non è usato per contrastare il piccolo traffico di piazza ma per scompaginare organizzazioni criminali, e a quei livelli c’è un codice d’onore … non mi sono mai trovata con un capo che mi abbia messo le mani addosso».
Tra le operazioni dei 4 anni da undercover, due in particolare quelle che più hanno segnato l’ex dirigente di Ps.
Una in Ungheria, tra i grandi boss della malavita, riuniti in un albergo di Budapest per contrattare grossi affari legati alla droga. “C’erano piste di cocaina sui tavoli da paura. La usavano tutti, ce la offrirono ma inventai la scusa che per concludere buoni affari volevamo rimanere lucidi».
L’altra fu l’operazione “Faccia d’angelo” del gennaio 1996 a San Benedetto del Tronto dove furono individuati alcuni appartenenti ad una compagine criminosa dedica al traffico delle sostanze stupefacenti.
Per operazioni di questo livello, si è ricordato, occorre una organizzazione molto severa e accurata, preparazione tecnica e volontà ferrea.
Informatori, microspie, telefonini rimontati nel cuore della notte. Sembra una spy story, ma attenzione… «L’agente undercover, sotto copertura, è un infiltrato a servizio dello Stato, non è una spia né un provocatore. L’agente provocatore, ovvero colui che scatena un crimine per poi segnalarlo alle autorità, è una figura illegittima e proibita dalla Corte di Strasburgo. Invece un undercover è un agente con un ruolo molto ben definito dalla legge: la sua azione si colloca all’interno di un procedimento penale già avviato e su reati che sono stati già consumati o che sono in corso d’opera», ha chiarito l’ex dirigente di Polizia. Un “undercover”, ad esempio, non ha licenza di uccidere. Può omettere o ritardare atti come ad esempio può emettere un verbale di arresto ritardato. Può commettere reati espressione di operazioni di Polizia come ad esempio trattare l’acquisto di sostanza stupefacente o comprarla, addirittura, se questo serve a identificare una organizzazione criminale. Può usufruire di identità e documenti faldi per lavorare sotto copertura.
«Mai portato un’arma durante le mie attività sotto copertura, avevo paura di trovarmi in situazioni che poi sarebbero diventate pericolose», ha raccontato ancora la Nicolini. «Perché ho iniziato? Mi fu proposto un corso, a formarci vennero agenti americani della Dea Drug Enforcement Administration. Fu molto duro, e passai. L’ho fatto perché ci credevo, anche ora che sono in pensione mi sento poliziotta fino al midollo. Perché ho smesso? Fisicamente e psicologicamente sono stati 4 anni che mi hanno messo a dura prova. Non ce l’avrei fatta senza le mie due famiglie, i colleghi e i miei cari».