ANCONA – Continuano a scendere i numeri dell’infezione da coronavirus in Italia. Oltre al numero dei ricoveri in terapia intensiva, che passano da 177 a 163, scende anche il numero complessivo delle persone che si trovano ancora negli ospedali dove da 3.301 si passa a 3.113. Un decremento che interessa anche i casi positivi totali che da 24.569 scendono a 23.925. Stesso trend anche nelle Marche dove le terapie intensive si mantengono vuote e i contagi sono in calo.
Fra i nuovi positivi emerge inoltre che 6 su 10 nelle Marche sono asintomatici e quindi non richiedono ricovero ospedaliero, segno di una malattia che continua ad allentare la sua morsa. «C’è ancora una coda di infezioni che si sta riducendo in termini assoluti, anche se in qualche giornata ci può essere un piccolo rimbalzo, ma quello che conta è il trend e questo è in calo come atteso – dichiara il professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano -. Si tratta molto spesso di casi asintomatici che vengono diagnosticati perché si fa un opportuno rilievo guidato anche da indagini epidemiologiche mirate per piccoli focolai, ed è questo che bisogna continuare a fare anche in una prospettiva futura perché, finché circola il virus, dobbiamo intervenire nel territorio, ed è importante continuare a farlo».
Una strategia, quella dei tamponi mirati e tempestivi, che come osserva il virologo, permette di isolare i nuovi casi «prima che arrivi una epidemia più grande». Parallelamente anche le terapie stanno facendo la loro parte «nel controllo dell’infezione», osserva Massimo Clementi. «In un primo momento – spiega – sono stati identificati quelli che sono i principali fattori di rischio di questa infezione come l’età, l’ipertensione, il diabete, che possono portare ad una forma grave della malattia». Una tesi supportata da un razionale scientifico dal quale è emerso che queste persone hanno un numero di recettori Ace2 (una proteina presente sulle cellule) superiore rispetto alle altre, e quindi è come se avessero più porte d’ingresso per il virus nell’albero respiratorio.
«È stato sperimentato l’uso di vari farmaci che combattono la risposta immunitaria eccessiva – sottolinea – : su Lancet è stato pubblicato il lavoro di un gruppo dell’Ospedale San Raffaele che ha utilizzato un anticorpo monoclonale che si è rivelato utile per il trattamento di una particolare evoluzione della patologia da coronavirus», ma anche il desametasone, antinfiammatorio steroideo che ha mostrato un’azione di riduzione della mortalità da Covid-19, «se opportunamente somministrato può essere efficacie in fase di evoluzione della malattia».
Insomma, la ricerca continua a compiere grandi passi in avanti, anche sul fronte del tanto agognato vaccino, anche se su questo tema il virologo tende un po’ a frenare gli entusiasmi a causa del fattore tempo. «In preparazione ci sono vaccini di diverso tipo, alcuni convenzionali preparati con il virus ucciso, altri con porzioni di virus, altri ancora con acidi nucleici: quello sviluppato dall’Università di Oxford e a cui lavora un’azienda italiana è un vaccino costituito da un Adenovirus che funge da veicolo di porzioni di genoma di Sars CoV2 che generano Rna e proteine di superficie del virus, una novità perché ad oggi non c’è nessun vaccino in uso così costituito, anche se in passato sono stati sperimentati in molte altre occasioni».
Si tratta del vaccino a cui sta lavorando una azienda di Pomezia, la Advent-Irbm, in collaborazione con il Jenner Istitute della Oxford University. Ma i vaccini devono essere «in primo luogo sicuri», mette in guardia il professor Clementi evidenziando che per esserlo vanno prima opportunamente sperimentati.
Inoltre devono essere efficaci, cioè «immunizzare le persone» dal virus, per questo però è «necessario del tempo». «La sperimentazione è una fase abbastanza complessa – spiega – che va condotta quando esiste l’infezione. Ecco perché si sta guardando al Sud America, un’area dove l’infezione è più attiva in questa momento e quindi alcuni vaccini potrebbero essere sperimentati proprio in Brasile».
Il virologo osserva infatti che sperimentare il vaccino in Italia «sarebbe inutile in questo momento, perché la carica virale rilevata dai tamponi è bassissima e il 50% dei casi sono borderline, cioè debolmente positivi»,
Sui nuovi contagi in Lombardia spiega che il lieve incremento registrato deriva dal maggior numero di tamponi guidato dalle analisi sierologiche e dalle indagini a tappeto condotte nelle Rsa: un’evidenza che risulta anche dall’incremento dell’età media dei contagi che si colloca prevalentemente sopra i 65 anni d’età.
Per quanto riguarda il nuovo focolaio a Pechino, il professor Clementi non mostra preoccupazione e anzi osserva come si tratti di un piccolo focolaio di 140 casi su 22 milioni di abitanti.
Proprio nei giorni scorsi in Cina era scattata la psicosi da salmone norvegese, sospettato di essere responsabile del nuovo focolaio. «Anche questa volta in Cina l’attenzione è andata subito ai mercati» evidenzia, ponendo l’accento sul fatto che nell’ultimo periodo i cinesi sono stati molto attenti a quanto arriva dall’estero, sia in termini di persone potenzialmente infette o di prodotti, «ma che i salmoni possano portare l’infezione mi sembra inverosimile».