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Coronavirus, il professor Clementi: «In Europa manca strategia comune»

Il direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano parla della crescita dei contagi in Italia e in Europa e fa il punto sulle misure per limitare il contagio

ANCONA – «In Europa è mancata una strategia comune per affrontare la pandemia, anche perché è evoluta in tempi diversi nelle diverse aree». Ad affermarlo è il professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Secondo il primario «è impensabile che l’Italia segua una curva epidemica diversa quando in tutta Europa c’è un incremento dei contagi, con Paesi che hanno un indice di infezione notevolmente superiore al nostro».

Tracciando un quadro della pandemia nell’Unione Europea, osserva che «ognuno si è mosso per proprio conto e si è visto: le epidemie sono andate avanti nei diversi Paesi in modo differente l’uno dall’altro». A provvedimenti presi «in tempi diversi», è scaturita una «discreta confusione nelle misure per contrastare la diffusione del virus», che si è distribuito a macchia di leopardo. Così, «l’Italia oggi ha meno di un terzo dei contagi francesi, e in misura ancora minore rispetto alla Spagna». «Se le cose stanno in questo modo, ciascun Paese sta procedendo in modo autonomo – spiega – : delle decisioni vanno prese e l’uso della mascherina insieme al lavaggio delle mani e al distanziamento sociale, è la misura certamente più efficace».

Il professor Clementi motiva la crescita registrata nei contagi nelle ultime settimane, nei termini di «quello che stiamo cercando: c’è stato un cambiamento importante di strategia, che rende impossibile comparare gli attuali dati con quelli della primavera scorsa. Allora venivano fatti molti meno tamponi, che venivano eseguiti sui soggetti malati che si presentavano in ospedale. Adesso, invece, vengono fatti molti più tamponi per cercare e tracciare i positivi che per la maggioranza sono asintomatici: l’obiettivo è quello di isolarli e identificarli».

Inoltre va anche considerato che «il 95% dei nuovi positivi è o poco sintomatico o addirittura asintomatico, e solo una minima parte del restante 5%, circa un decimo, finisce in terapia intensiva». Insomma ci sono differenze sostanziali fra la situazione attuale, a parità di numero di positivi, rispetto ai mesi più bui della pandemia, quando le terapie intensive erano piene, così come gli ospedali. Anche se nelle ultime settimane si è registrata una lieve crescita nei reparti intensivi, questa «è ancora ad un livello tale da non creare preoccupazione nel sistema sanitario, ad eccezione di alcune regioni dove l’incremento è stato superiore».

Massimo Clementi
Massimo Clementi, direttore Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Secondo il virologo «un certo numero di ricoveri sono sociali: si tratta di persone anziane, o sole che non possono essere assistite a casa perché prive di una rete di sostegno familiare e che quindi vengono ricoverate negli ospedali», situazioni che rendono la dimensione di «una certa carenza del servizio sanitario e che rendono necessario il potenziamento dell’assistenza domiciliare».

Intanto il governo si appresta a varare il nuovo Dpcm nel quale è previsto, tra le altre cose, l’accorciamento del periodo previsto per l’isolamento domiciliare che passerà da 14 a 10 giorni. «Speravo che si potesse arrivare a sette giorni – spiega -, sarebbe stato più razionale, ma per quella prudenza che ha sempre caratterizzato il Comitato Tecnico Scientifico italiano direi che va bene così».
Il virologo non condivide completamente le chiusure anticipate per bar e ristoranti: «Non so se convenga lasciare le persone in strada – sottolinea -: i ragazzi in questa maniera tenderanno ad ammassarsi in altre aree. La cosa più opportuna sarebbe stata quella di regolare la modalità di fruizione di questi locali, controllando il rispetto delle regole, piuttosto che anticiparne le chiusure in maniera nazionale».

Una costante, quella di stabilire chiusure in maniera uniforme sul territorio italiano, «senza tenere conto delle notevoli differenze fra una area e l’altra». Per quanto riguarda le feste private secondo il virologo può avere senso provare a limitarle «confidando sul senso di responsabilità delle persone».

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