ANCONA -«Siamo al “plateau” della curva di crescita, ora speriamo che discenda in maniera importante entro le prossime 2 settimane». A dirlo è il direttore della Clinica di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona Andrea Giacometti che fa il punto sull’epidemia di Coronavirus. L’infettivologo spiega che nella nostra Regione «il picco è ormai pressoché raggiunto». «Nonostante i casi ancora siano numerosi e gli ospedali intasati – osserva – , il quadro sembra ora stabilizzato, ossia non è più in costante aumento il numero dei soggetti che si presentano ai Pronto Soccorso».
Uno spiraglio di luce che si intravede in fondo ad un tunnel buio nel quale è piombato il Paese e la nostra regione, fra le più colpite dal virus che ha mostrato in pieno la sua faccia più dura in termini di morti e ricoveri.
«Il numero dei decessi è ancora elevato – osserva -, soprattutto nella nostra regione che, dal punto di vista epidemiologico-statistico, può essere rapportata alla situazione lombarda». Ma per Giacometti resta comunque il dubbio sulla «effettiva letalità dell’infezione, perché se, come probabile, il numero dei soggetti, diagnosticati mediante tampone, che hanno già incontrato il virus, fosse di molto superiore, allora sarebbe sicuramente più bassa la letalità».
Un virus che ha dimostrato di essere estremamente contagioso perché «trasmesso dalla saliva e dalle secrezioni emesse dalle vie aeree e perché in grado di resistere parecchie ore nell’ambiente esterno. Non dimentichiamo che i coronavirus sono da decenni conosciuti come agenti del comune raffreddore il quale è sicuramente facilmente trasmissibile».
Intanto «presto dovrebbero partire due nuove sperimentazioni agli Ospedali Riuniti di Ancona», spiega il professor Giacometti. «Farmaci simili al tocilizumab, ma con effetto forse superiore». «Stiamo attendendo l’approvazione del Comitato Etico dello Spallanzani, e nel giro di qualche giorno, speriamo prima di Pasqua, i due protocolli terapeutici sperimentali potrebbero partire». Intanto, prosegue, «abbiamo utilizzato e stiamo ancora utilizzando tutti i farmaci proposti: idrossiclorochina, lopinavir-ritonavir, darunavir-cobicistat, remdesivir e tocilizumab».
Un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’università Statale di Milano avrebbe svelato l’esistenza di un effetto del clima sul virus: secondo i risultati del team, infatti, il coronavirus si troverebbe “più a suo agio” con un clima freddo-secco, mentre l’epidemia si diffonderebbe più lentamente nelle zone caratterizzate da un clima caldo-umido, lei che ne pensa? Questa notizia può farci sperare che con l’arrivo della bella stagione ci possa essere un calo dei contagi?
«Potrebbe essere vero. Del resto malattie come l’influenza ed il raffreddore si diffondono meglio con il freddo. Resta da chiarire perché questo freddo dovrebbe essere anche secco per facilitare la diffusione del coronavirus. Forse la statistica ha influenzato i dati prelevati dalle diverse nazioni, in quanto se è vero che il virus pare diffondersi più lentamente nelle aree caldo-umide, è anche vero che quelle sono molto più popolate di quelle calde e secche, come le desertiche, per cui i dati globali potrebbero portare a concludere che il caldo-umido “non piace” al virus, al contrario del freddo-umido».
Che scenario si prefigura da qui ad un mese?
«Dipende dalle misure prese dal Governo centrale e dalla Regione. Dobbiamo stare attenti a non abbassare la guardia, perché il problema potrebbe ripresentarsi in poco tempo con la temuta “seconda ondata”. Finora l’epidemia è iniziata da focolai, ossia con pochi casi da piccole zone e da lì si è diffusa nelle aree circostanti, un po’ come quando si cerca di accendere la legna in un camino: il fuoco parte da dove noi arriviamo con il fiammifero. Se però abbassassimo la guardia e tornassimo troppo presto allo stile di vita “normale”, allora ci troveremmo nella situazione in cui numerosi soggetti portatori del virus, anche asintomatici, sarebbero già presenti fra la rimanente popolazione. In queste condizioni il contagio potrebbe riprendere da più zone, non da un singolo focolaio: per rimanere nell’esempio del camino, se soffiamo sulle braci, il fuoco può riprendere in maniera esplosiva».