MILANO – Cinema chiusi. Teatri, scuole, università, palestre, piscine, chiese, discoteche, bar (dopo le 18!), tutto chiuso per evitare aggregazioni di persone che favoriscano il contagio. Da domenica tardo pomeriggio, 23 febbraio 2020, Milano è semi-paralizzata dal Coronavirus: curiosa coincidenza, proprio nel giorno in cui scatta il mio quindicesimo anno a Milano, da marchigiana domiciliata al Nord. E visto che, almeno fino al 1° marzo, è quasi tutto serrato (market e ristoranti sono esonerati dalla chiusura), e anche ritrovarsi tra amici ha il sapore di una riunione carbonara, cosa si può fare a Milano per svagarsi un po’? Tutti al supermercato! Ecco, lì sì che è pieno di gente, che si accaparra verdure, latte, tonno e pasta come se la bomba atomica fosse in arrivo e la segregazione in un bunker imminente. Come se il contagio, tra l’altro, avesse scelto come terra franca da risparmiare la fila, tutti vicini, alle casse.
La prima mattina dopo le misure
Milano è città operosa e vivace, quella in cui per vedersi con qualcuno la sera bisogna prima “incrociare le agende”, piene di cene o eventi culturali da presidiare.
Svegliarsi il lunedì della ripresa settimanale, in una città in parte ferma, è strano. Addosso si ha la sensazione che si aveva da piccoli quando la scuola chiudeva per un’abbondante nevicata. C’è qualcosa di straniante e pure di divertente, anche se poi, quando incroci qualcuno con la mascherina in viso, ti ricordi che il virus è in giro e, anche se l’allarmismo generato sembra davvero esagerato (sperando che lo sia davvero), stiamo vivendo una situazione di emergenza che la mia generazione mai ha vissuto prima.
Le aziende milanesi hanno vietato l’accesso a dipendenti o collaboratori o fornitori provenienti dalla “zona rossa”, ovvero quei comuni del lodigiano da cui sarebbe partito il contagio di Coronavirus in Lombardia (Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano). Per tutti gli altri lombardi, si parla di “zona gialla”.
Alcune aziende hanno concesso (o meglio, intimato) a tutti, gialli e rossi senza distinzione, di lavorare da casa per tutta la settimana: benvenuto smart working.
La città, nella prima mattina dell’allarme Coronavirus, sembra rallentata. Una normalità apparente. È il primo giorno lavorativo dopo l’ordinanza castrante della Regione Lombardia e del Ministero della Salute: c’è meno gente per le vie, ma c’è; ci sono meno auto per le strade, ma ci sono. In redazione, ci sono meno lavoratori, ma ci sono. Come una giornata di giovane estate, quando i primi milanesi si avventurano in ferie liberando un po’ la città.
Per fortuna sono pochi a lasciarsi andare alla mascherina: la mascherina è consigliata solo se si è contagiati o si accudisce una persona malata.
Una giornata senza baci e abbracci
Ritrovarsi tra colleghi, in redazione, ha qualcosa di surreale. È tutto come sempre, ma non lo è. «A un metro di distanza». «No, due», ci si sorride, e ci si mantiene a distanza di sicurezza. Tra le precauzioni per evitare il contagio, infatti, c’è quella di tenersi ad almeno un metro.
Quasi tutti si ricordano questa misura, ma poi ecco che c’è il collega che si infervora nel parlare e si avvicina, te lo trovi a 40 cm, e allora fai un passo indietro, e quello avanza. Anche questi balletti hanno qualcosa di surreale. L’idea generale è che non bisogna farsi prendere dal panico, né stravolgere la propria vita, pur seguendo le istruzioni che vengono dall’alto, certo.
E per una giornata – ma sarà così anche domani e dopodomani e ancora – sono vietati baci e abbracci. Che strano.
Uno dei ritrovi più frequenti? In bagno, a lavarsi le mani (altra precauzione fondamentale). Ma di flaconcini di Amuchina nessun avvistamento.
Tra i colleghi c’è anche chi se ne sta in quarantena, nella blindata zona rossa. «Fondamentalmente sono rinchiusa in casa», mi racconta una residente di Casalpusterlengo. È da venerdì (21 febbraio) che l’azienda l’ha pregata di tornarsene a casa. Sta bene, non ha sintomi influenzali, e aspetta. «Qui non arriva nemmeno la posta, e Amazon ed Esselunga non entrano».
La corsa agli acquisti al supermercato
Milano, senza cinema e teatri, è una città a lutto. È come la savana senza leoni. Come il Madagascar senza baobab.
Ma il luogo in cui più di ogni altro senti che qualcosa è cambiato è il supermercato. Lì, da domenica, si vedono scene da film apocalittico. È corsa a comprare cibo e prodotti vari. Gli articoli più a ruba: latte fresco, verdure, frutta, pasta, biscotti e… carta igienica.
Lì, poi, trovi ogni tipo di essere umano. C’è la vecchina spaventata che si chiede come andrà a finire e cerca rassicurazioni e c’è la signora con la mascherina cool. Ma c’è pure la trentenne che sorride stupita per la razzia in corso, scuotendo la testa, e il cinquantenne fricchettone che, al telefono, racconta questi momenti di psicosi collettiva e si chiede con ironia: «Ma perché, domani non sono mica aperti i supermercati?».
Per due giorni consecutivi, verso le 18, ho trovato molte scansie svuotate (il market chiude a mezzanotte). Se di domenica, giorno di weekend, è più comprensibile, di lunedì è anormale. Chiedo all’addetto del super: «Ma da ieri non avete rifornito o è proprio corsa al cibo?». E lui: «Non facciamo in tempo a riempire che subito va tutto via». Ecco, qui c’è qualcosa che non va.
Non a caso il sindaco di Milano Giuseppe Sala in un video messaggio ai cittadini ha detto: «Piuttosto che correre ai supermercati, spendiamo del tempo per prenderci cura delle persone più gracili e a rischio, i nostri anziani».
Avevo pianificato da mesi di tornare nelle Marche, in famiglia, proprio in questi giorni, ma, dopo lunghe e faticose riflessioni, mi sembra opportuno limitare gli spostamenti e rimanere in questa Milano bella, ferita e bloccata.
Qui ci scherziamo su. La Basilicata intima la quarantena di 14 giorni presso il proprio domicilio a chi proviene da Lombardia, Veneto e compagnia bella. E noi sorridiamo: «La rivincita del Sud». «Ha fatto più il Coronavirus per la secessione in tre giorni che 25 anni di Bossi».
Non so come finirà questa emergenza. Come si potrà tornare alla normalità. Di sicuro, chi sopravviverà, sarà molto più grasso. E pulito.