ANCONA – I mesi di pandemia, indipendentemente dalla prima o dalla seconda ondata, hanno fatto emergere prepotentemente il tema dello smartworking. Contestualmente, forti anche delle esperienze di alcune grandi città, si è ripreso a parlare anche di spazi comuni per il lavoro, comunemente detti coworking. L’utilità di questa modalità è nota sotto molteplici punti di vista e anche Ancona, città finalista nella corsa a capitale della Cultura 2022, non vuole privarsi di questa strada.
L’assessore alla Cultura Paolo Marasca ha parlato dell’argomento focalizzando l’attenzione su alcuni aspetti rilevanti: «Il coworking è un’idea che ha ormai radici profonde ed è molto evoluta nel tempo. Si è partiti da spazi semplicemente messi a disposizione, per poi arrivare a formule ibride, in tutta Italia. Anche ad Ancona è possibile da tempo svolgere attività in sedi pubbliche, come il nostro Informagiovani, in sedi private commerciali, come Filotea, e presso realtà che abbinano specifici percorsi strategici al semplice coworking, Sineglossa agli Archi. Il valore del coworking infatti è più la contaminazione che il semplice spazio. Nella nostra città ci sono iniziative come quelle citate ma ce ne sono anche altre come Zucchero a Velò, H3 o Baraccola».
Attraverso l’istituzione di spazi comunali per il lavoro si potrebbero rilanciare anche alcune zone un po’ in ombra: «Si tratta di operazioni che possono intervenire su aree periferiche che hanno criticità, certo. Ma devono fare parte di una strategia complessiva. Di sicuro le iniziative in questo senso vanno supportate e valorizzate quando arrivano da privati e terzo settore, e messe in rete. Diverso è il ruolo dell’ente pubblico, che anziché intervenire in un mercato potrebbe appunto fare da collante, e anche utilizzare la formula per la propria organizzazione».
E poi vanno valutate le implicazioni sociali, non trascurabili: «Lo smartworking è un tema molto complesso sotto tutti i punti di vista. Dipende da come lo si intende. Se lo si usa solo per “replicare” la presenza sostituendosi ad essa, e dunque cercando di riproporne le dinamiche, può al massimo essere utile, ma non fa crescere il sistema. Se, invece, lo si intende come opportunità di trasformazione delle dinamiche organizzative, e dunque si cambia prospettiva, può aprire possibilità».