CUPRAMONTANA – Si chiama “SPORE – Scuola di Campagna” ed è il nuovo progetto di agro-ecologia politica promosso dall’azienda agricola di Cupramontana La Distesa, guidata da Valeria Bochi e Corrado Dottori. Un progetto che si propone di approfondire significato e pratiche del fare agricoltura in un mondo e in un clima che stanno cambiando e che si inaugura il 18 e 19 novembre con un seminario attorno al “Suolo, costruttore di mondi”. Ne abbiamo parlato con Valeria Bochi.
“Spore- Scuola di Campagna”, come nasce l’idea alla base di questo progetto?
«Nasce dal percorso che abbiamo fatto nei nostri 25 anni di storia aziendale, durante i quali non ci siamo mai interpretati solo come “agricoltori” e produttori di vino ma anche come custodi di uno spazio dentro il quale abbiamo sempre intessuto relazioni con altre realtà produttive, di ricerca, di militanza. Questa matrice è molto chiara ed è alla base della scelta di creare un contenitore dove far convergere tante esperienze e competenze multidisciplinari da tutta Italia. Spore sarà uno spazio di ricerca e apprendimento che intendiamo utilizzare per migliorare le nostre pratiche agricole e, soprattutto, per condividere conoscenze con tutte quelle persone che si pongono le nostre stesse domande, che hanno percorsi simili al nostro, che vogliono fare agricoltura ponendosi quelle due o tre domande chiave di questo tempo: che agricoltura potremo fare nei prossimi anni? Che relazioni costruiamo con i viventi che abitano il nostro spazio? Come lo vogliamo abitare questo nostro spazio?».
Quale tipo di riflessione intendete promuovere?
«Una riflessione che riguarda tutti noi, in un certo senso, non solo gli agricoltori. Ovvero riflettere su quello che sta succedendo al nostro pianeta partendo dallo spazio di una azienda agricola ma allargando lo sguardo a tutte le dimensioni che hanno a che fare con il rapporto uomo-natura: il gesto agricolo, prima di tutto, ma anche le pratiche di consumo, l’alimentazione, la costruzione di relazioni di prossimità/comunità, il rapporto con le altre specie. Sono tutte dimensioni che normalmente non vengono considerate “rilevanti” per chi fa agricoltura, ma lo scenario climatico che abbiamo di fronte ci dice, invece, che sono queste le domande giuste da porci. E che le risposte devono venire dalla ricerca, dalla condivisione di pratiche, dalla cooperazione e dalla consapevolezza. Proveremo a proporre queste riflessioni parlando di agronomia, microbiologia, filosofia, antropologia, paesaggio e comunità. Perché niente, oggi, è estraneo alla riflessione che ciascuno di noi dovrebbe fare sul futuro del pianeta».
Che tipo di risposta e interesse sta ricevendo la vostra proposta? Quale tipologia di utenza risponde agli stimoli che proponete?
«Spore inizia ufficialmente il 18 e 19 novembre con il primo corso sul suolo e proseguirà il 17 dicembre con una giornata dedicata alle pratiche di incontro e racconto del vino. Entrambe queste attività hanno riscontrato un enorme interesse, ben oltre quello che ci aspettavamo e questo ci fa pensare che forse abbiamo colto una esigenza reale di tante persone, non solo agricoltori, ma anche giovani studiosi, attivisti, appassionati di vino che vogliono approfondire e capire meglio quale futuro ci attende e come potremo viverlo. Al momento, ovviamente, la maggioranza degli iscritti ai nostri corsi è fatta di agricoltori. Ma ci sono anche alcuni giovani interessati alle questioni ambientali che si sono avvicinati e che speriamo possano essere sempre più numerosi. Nel 2024 proseguiremo con altri corsi e l’idea è quella di strutturare il progetto SPORE con attività lungo tutto l’anno».
In che modo è cambiata o sta già cambiando l’agricoltura all’impatto col cambiamento climatico? Adeguarsi puramente o re-inventarsi?
«Il mondo dell’agricoltura, paradossalmente, pur stando a contatto con la natura si è reso conto in ritardo di quello che stava succedendo. È un mondo tendenzialmente conservatore e negli ultimi decenni ben poco attento alle questioni ecologiche, a parte il settore di nicchia del bio. Ma da quando il dibattito sulla crisi climatica è diventato più stringente – e a causa delle ricadute sempre più frequenti sull’agricoltura – le università e le aziende hanno cominciato a confrontarsi sempre più attivamente col tema. Il problema dell’adattamento o, come viene ripetutamente definita della “resilienza”, dei sistemi agricoli a un clima che cambia è oggi al centro di molti studi e riflessioni. La nostra impressione, però, è che molto spesso la reazione sia di tipo puramente “tecnologico”: l’impostazione è sempre produttivistica. Si cambiano i metodi senza cambiare il modello di sviluppo che ha prodotto il disastro. In questo modo si prende solo tempo… E non si affronta il tema reale: che è quello dell’impatto profondo della nostra specie sul pianeta Terra, anche attraverso l’agricoltura. Per questo per noi il tema non può essere solo “tecnico” ma anche filosofico e antropologico, e questo è l’orizzonte di Spore».
Nel 2023 e nella nostra parte di mondo che da decenni l’ha messa in secondo piano, in qualche chiave l’agricoltura può tornare protagonista di una nuova costruzione del mondo?
«Ci sono due aspetti, che sono fortemente correlati secondo noi. Il primo è che spesso si dimentica che una grandissima parte delle emissioni sono legate al settore primario. Dunque come produciamo e distribuiamo ciò che mangiamo. La transizione ecologica deve quindi mettere al centro l’agricoltura per forza di cose, ne va della nostra sopravvivenza stessa. In secondo luogo c’è un dato che spesso viene dimenticato ma che è altrettanto importante: la profonda urbanizzazione del pianeta porta allo spopolamento delle aeree interne, montane, residuali, di frontiera. In queste aree l’agricoltura svolgeva non solo un ruolo di produzione ma anche di custodia e salvaguardia… Si pensi al nostro Appennino… Lo spopolamento di queste aree porta con sé tutta una serie di problematiche ecologiche di cui si parla troppo poco. Non sappiamo se sia possibile invertire il trend che il mito dell’urbanizzazione porta con sé ma certamente l’agricoltura “artigianale” e di piccola scala ha un ruolo essenziale nel mantenimento delle piccole comunità locali, che hanno cura delle aree montane abitandole».