FABRIANO – Muoversi e rinnovarsi. Sono queste le parole chiavi che sono comuni nelle dichiarazioni dei tre sindacati di categoria Fiom-Fim-Uilm a seguito dei dati Ciof in merito allo stato di occupazione in città e nel comprensorio. Numeri che tratteggiano un quadro allarmante: oltre 5mila disoccupati in città e con l’aggiunta dei lavoratori attualmente in mobilità, si rischia di superare addirittura quota 6.000.
Se questo dato viene confrontato con la popolazione attiva, 14-65 anni, si arriva ad una percentuale del 30 per cento di disoccupati residenti o, comunque, domiciliati, a Fabriano. Se poi si allarga il dato su tutto il territorio di copertura del Centro per l’impiego di Fabriano, si sfonda addirittura quota 8mila disoccupati.
«Siamo di fronte ad un situazione devastante, peggio di una calamità naturale. Da quando sono arrivato – racconta Pierpaolo Pullini della Fiom – l’aspetto che più mi ha sconvolto è stato quello di assistere ad aziende che stanno andando verso la chiusura, dopo aver superato la crisi, per problemi di gestione. Meccanica di precisione, ad esempio, chiude con portafoglio clienti importante. Tecnowind, che si è tenuta in piedi grazie al lavoro di chi ci sta dentro, ha tanti ordini e, nonostante tutto, non sappiamo ancora che fine farà. Per non parlare della JP Industries che non riesce ad avere linee di credito necessarie per produrre. Una situazione che è ulteriormente aggravata dal fatto che sta via via scomparendo la figura dell’imprenditore locale legato al territorio, visto che – a causa della riorganizzazione – sono arrivate le multinazionali e, di conseguenza, cambiano i rapporti. Sembra che quando si intravedono possibilità di rinascita, c’è sempre qualcosa che ci fa tornare al punto di partenza».
Che fare? «Non si possono solo tagliare i posti di lavoro e aumentare i ritmi di lavoro. Il lavoro ha un peso del 20% sulle produzioni nel fabrianese. Bisogna andare avanti sul miglioramento delle infrastrutture SS 76 e snodo ferroviario ben più consistente, la tratta Orte-Falconara è vecchia. Effettuare, poi, una seria manutenzione di tutto il territorio per rendere attrattiva questa zona. Le aziende devono investire su innovazione e sostenibilità ambientale».
Secondo Andrea Cocco della Fim «è un tessuto economico da ricostruire da un punto di vista culturale. Stanno tutti agganciati alle grosse imprese. Ora non è più conveniente, però. Credo che le competenze presenti nel territorio vadano sviluppate al di fuori dell’elettrodomestico. È chiaro che ci devono essere iniziative appoggiate dalle Istituzioni attraverso un maggior coordinamento. Finiamola di aspettare che qualcosa cada dall’alto, lo dico da fabrianese», dichiara Cocco.
«C’è da riconvertire un territorio con le piccole realtà che devono lavorare in rete, anche se è difficilissimo visto che fino a qualche anno fa si sono fatti dispetti a vicenda a suon di sconti. Salvo poi accorgersi che si è presa la commessa, ma per via del gioco al ribasso non si può pagare il dipendente. Ognuno deve dare il proprio contributo, ciascuno per la propria parte. L’anello più debole è chiaramente il lavoratore. Ogni giorno in ufficio vengono a trovarmi persone con storie drammatiche. Anche le banche devono fare la loro parte. Serve un passo in avanti nel costruire, senza inventarsi qualcosa di strabiliante, ma partendo e valorizzando l’esistente e aiutandolo a crescere e fare rete».
Per l’esponente della Uilm, Vincenzo Gentilucci, il dramma dei senza lavoro starebbe per toccare il punto più basso. «Forse si è toccato il punto di caduta massima. Anche se ci sono ancora gli ammortizzatori sociali conservativi in molte realtà industriali medio-grandi. Si intravede, però, una leggera inversione di tendenza in termini di volumi di produzione che potrebbe anche significare un recupero in termini occupazionali». La vera sfida, però, è quella legata a Industria 4.0, nuova ventata in arrivo dall’America.
«Si andrà verso una robotizzazione sempre maggiore che rischia di entrare fortemente nelle produzioni e che, quindi, potrebbe determinare un nuovo choc occupazionale se non si interviene prima. Bisogna fare un progetto che dia la possibilità di trovare altre soluzioni lavorative. C’è bisogno di lavorare non solo di pensare ai redditi di cittadinanza o altro. Occorre massima attenzione e spingere il Governo a fare politiche industriali intelligenti, altrimenti si rischia grosso».