ANCONA – Sono 948 complessivamente i padri e soprattutto le madri lavoratrici che nelle Marche nel 2016 hanno lasciato il lavoro durante la gravidanza o subito dopo la nascita di un figlio. Il dato risulta particolarmente preoccupante, sia per la dimensione quantitativa che per l’evidente e ampia crescita: +4,5% rispetto all’anno precedente.
Secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro ed elaborati dall’Ires Cgil Marche, nel 2016, 801 lavoratrici si sono dimesse “volontariamente” nei primi 3 anni di età del figlio, andando a convalidare le dimissioni alla Direzione Provinciale del Lavoro. Ad esse andrebbe aggiunto il numero, difficile da quantificare, delle mamme lavoratrici non tenute alla convalida delle dimissioni alla DPL, per non parlare delle tante lavoratrici precarie per le quali la maternità significa spesso la perdita di ogni speranza di rinnovo del contratto. Alle madri si aggiungono 147 padri lavoratori per un totale di 948 dimissioni nel 2016.
Cresce soprattutto il numero delle madri (+5,4%) che lasciano il lavoro mentre continua inesorabile il calo delle nascite nelle Marche: nel 2016 sono nati 11.482 bambini e bambine, ovvero 422 in meno rispetto al 2015 (-3,5%).
Tra i motivi della decisione di lasciare il posto di lavoro prevalgono le difficoltà di conciliare il lavoro con le esigenze di cura dei figli: ciò vale per 459 lavoratrici e lavoratori complessivi, pari al 48% del totale (percentuale superiore a quella nazionale). Osservando meglio le specifiche ragioni che hanno spinto alle dimissioni, risulta in primo luogo la mancanza di una rete parentale di supporto (286 lavoratrici e lavoratori, pari al 30% del totale), la mancanza di posti nell’asilo nido (110 lavoratori e lavoratrici, 12%) e gli elevati costi dei servizi di cura al bambino, quali asili nido e babysitter (63 lavoratrici e lavoratori, 7%). Hanno lasciato il lavoro per esigenze di conciliazione tra il lavoro e famiglia 439 madri, a fronte di 20 padri a riprova che il lavoro di cura è ancora quasi esclusivamente a carico delle donne. Per alcuni, la mancata concessione del part time da parte dell’azienda, rende inconciliabile il lavoro con la genitorialità (2%). Si tratta in particolare di 21 lavoratrici e 1 lavoratore.
«Il numero delle donne che ogni anno lascia il lavoro quando nasce un figlio è impressionante – dichiara Daniela Barbaresi, Segretaria Generale CGIL Marche -.Per troppe di loro la scelta di dimettersi risulta essere l’unica strada possibile e per questo è necessario intervenire con soluzioni contrattuali e con politiche adeguate perché tante donne non siano lasciate sole, costrette a fare i conti con una rete di servizi inadeguata ai bisogni e i cui costi sono spesso troppo elevati per tante famiglie. Soprattutto occorre rivedere radicalmente le politiche incentrate sulla monetizzazione dei bisogni: bonus mamme, bonus bebè, bonus asilo nido, bonus baby sitter sono interventi accomunati dal dare un po’ di soldi a tutti, a volte anche a prescindere dalle reali condizioni economiche dei beneficiari. Misure lontane da quelle risposte concrete di cui c’è bisogno per accompagnare le trasformazioni economiche e sociali. Occorrono misure concrete e durature, frutto di una strategia complessiva che riconosca la centralità del lavoro delle donne con un sistema di infrastrutture sociali, a partire da una rete adeguata e accessibile di asili nido e servizi per l’infanzia idonea a rispondere ai bisogni delle madri, dei padri e dei bambini».
La maggior parte delle lavoratrici non è più giovanissima e ha un’età compresa tra 26-35 anni (60% dei casi) e tra 36-45 (30%), sostanzialmente in linea con la media nazionale e che conferma l’età mediamente elevata alla nascita del 1° figlio. In effetti, la maggior parte di coloro che lasciano il lavoro presenta le dimissioni dopo la nascita del primo bambino (59%); significativo anche il numero di coloro che hanno due figli (30%) o più (7%). Limitato, invece, il numero di coloro che lasciano il lavoro durante la gravidanza (4%). Nella maggior parte dei casi, e in misura superiore al dato nazionale, si tratta di lavoratrici con figli con meno di un anno di età.
Le imprese dalle quali le lavoratrici provengono sono prevalentemente di piccole e piccolissime dimensioni, quasi sempre non sindacalizzate, e dove probabilmente è più difficile trovare risposte adeguate alle nuove esigenze di flessibilità richieste dalla nascita di un bambino: il 68% delle aziende che le donne lasciano quando nasce un figlio ha meno di 15 dipendenti (55% a livello nazionale) e il 14% ha tra 16 e 50 dipendenti.
Vi è un rapporto inversamente proporzionale tra le dimissioni e l’anzianità di servizio delle lavoratrici madri che si dimettono: il 48% di essi ha un’anzianità lavorativa inferiore a 3 anni e per il 42% l’anzianità va dai 4 ai 10 anni. Nella quasi totalità dei casi, si tratta di lavoratrici con qualifiche operaie e impiegatizie.
Le donne dimissionarie provengono principalmente dai settori dei servizi (26%) e del commercio (26%) seguiti dall’industria (19%). Per un significativo numero di lavoratrici non viene specificato il settore produttivo di provenienza.