FABRIANO – Messa in liquidazione della JP Industries di Fabriano dopo averle fatto cambiare nome. Lavoratori, ancora una volta, con il destino incertissimo, esasperati e pronti alla mobilitazione. Ennesimo colpo di scena nell’ambito della vertenza della newco che fa capo all’imprenditore cerretese, Giovanni Porcarelli, e che di fatto non è mai nata dal punto di vista produttivo. Visto che una produzione, degna di questo nome, non è mai avvenuta con continuità. Continuità che, invece, non è mai mancata dal punto di vista dell’erogazione di ammortizzatori sociali, ben otto anni consecutivi, addirittura da dodici anni se si considera la ex Antonio Merloni, il cui comparto del bianco, è stato proprio acquisito dalla JP Industries: gli stabilimenti di Fabriano di Santa Maria e Maragone, e quello umbro di Gaifana, riassumendo 700 lavoratori, equamente distribuiti fra Marche e Umbria.
Torna vicino all’orlo del precipizio la vertenza legata alla JP Industries di Fabriano fra punti fermi e dubbi enormi. I primi sono rappresentati dalla messa in liquidazione ufficiale della newco che avrebbe dovuto evitare l’ennesima ecatombe occupazionale legata alla ex Antonio Merloni. La JP, infatti, si era aggiudicata il comparto delle produzioni di elettrodomestici ex Ardo, riassumendo operai ed acquisendo ben 3 stabilimenti. Poi, la lunga vertenza giudiziaria con un pool di banche creditrici della vecchia gestione della Antonio Merloni e che giudicava eccessivamente basso il prezzo della vendita a Porcarelli. Alla fine, però, l’iter giudiziario si è concluso con la vittoria dell’imprenditore cerretese.
Ma il lieto fine, fino a oggi, non c’è stato. Infatti, salvo il minimo sostegno a reddito ai lavoratori derivanti dalla cassa integrazione, ne usufruiscono da quasi otto anni completi, la produzione di fatto nei tre stabilimenti – due a Fabriano e uno in Umbria – non è mai partita. Non solo, più di una volta Porcarelli si è reso protagonista di veri e propri colpi di scena. Come non ricordare l’apertura della procedura di mobilità per tutti i 600 dipendenti, poi ritirata. O, tempi recenti, la domanda di concordato, dove erano previsti nel piano concordatario, fra l’altro, ben 343 esuberi sui 584 dipendenti a oggi rimasti, 305 degli stabilimenti di Fabriano, Santa Maria e Maragone: 269 operai e 36 impiegati; 279 del sito di Gaifana in Umbria: 268 tute blu e 11 colletti bianchi. Domanda di concordato, poi, ritirata a seguito di alcune prescrizioni del giudice della sezione Fallimentare del Tribunale di Ancona.
Il 29 giugno scorso il cambio di nome in Indelfab, “Industrie elettrodomestiche fabrianesi”, il 3 luglio la messa in liquidazione. «Sono poche le informazioni che ci sono state date», dichiara Pierpaolo Pullini, responsabile per la Fiom del distretto economico di Fabriano. «Probabilmente, i commissari presenteranno un nuovo concordato tenendo in conto le prescrizioni del giudice nella stesura del piano concordatario. Ma non ci hanno rivelato niente né riguardo al tipo di concordato né progetto industriale». A questo punto, l’idea originaria della nascita di una seconda newco con circa 250 dipendenti, vale ancora? «Non lo sappiamo», evidenzia lo stato di massima incertezza che, ovviamente, agita l’animo di tutti i lavoratori riuniti questa mattina in assemblea nella sala mensa del sito produttivo di Santa Maria dai rappresentati sindacali.
«Un’altra data certa è rappresentata dal 6 settembre prossimo, quando scadrà il periodo della cassa integrazione per covid. Si potrebbero richiederne altre 18, come previsto dal Governo, ma chi dovrà farlo? Se l’azienda viene messa in liquidazione, si può tornare in cassa integrazione straordinaria? Probabilmente no, visto che erano previsti investimenti che a oggi non sono stati fatti. Insomma – conclude Pullini – si naviga non a vista, di più. E il tutto sulla pelle dei lavoratori che vedono il baratro sempre più vicino».
I lavoratori sono letteralmente esasperati e pronti alla mobilitazione. «Ci sentiamo presi in giro, nonostante i sacrifici di tanti anni, nulla è valso. Siamo pronti a mobilitarci per chiedere assunzioni di responsabilità alle istituzioni e all’imprenditore per garantire l’occupazione», dichiarano le tute blu.