Attualità

Gli effetti dello smart-working. Il diritto alla disconnessione visto dall’Italia

Con il segretario regionale Filt-Cgil Valeria Talevi e il docente di diritto del lavoro dell'Unimc Guido Canavesi, abbiamo parlato dell'esigenza di tutelare i lavoratori "da remoto"

Smart Working

ANCONA- L’avvento dello smart-working, conseguente alla pandemia ma in realtà già in atto da qualche anno, ha costretto la legislazione in materia ad evolversi per essere al passo dei tempi. Tra le varie proposte che hanno seguito un iter normativo specifico c’è anche quella legata al Diritto alla disconnessione che ha trovato, appunto, la propria approvazione nel Parlamento dell‘Unione Europea. Si tratta, in sostanza, del diritto di disconnettersi dal pc una volta terminato l’orario di lavoro così da porre un freno alle richieste extra che spesso e volentieri vengono portate avanti dai datori di lavoro.

Nello specifico la norma si traduce in una serie di strumenti che porteranno a tutelare il tempo libero dei dipendenti e mirano alla registrazione del tempo effettivo di lavoro “da remoto”, ad un compenso adeguato alle condizioni e soprattutto ad un meccanismo che – testualmente, rafforzi e protegga i lavoratori dalla vittimizzazione da parte dei loro capi.

Valeria Talevi, segretaria generale Filt-Cgil Marche

Valeria Talevi, segretaria generale Filt-Cgil Marche, si è così espressa sul tema: «L’emergenza sanitaria e le conseguenti misure di contrasto adottate dal Governo per contenere la diffusione del virus Sars- Covid19 hanno impresso una forte accelerazione al ricorso del lavoro agile aprendo una discussione all’interno del paese rispetto a limiti e opportunità di questa trasformazione organizzativa che si avvia a divenire strutturale. Quello sperimentato durante il lockdown non può certo essere definito “smart working” essendosi trattato di una sorta di telelavoro obbligato a domicilio, senza regole, che si è scaricato soprattutto sulle donne su cui è gravato anche il peso della gestione di carichi e incombenze famigliari non prevedibili. Lo smart working in Italia è stato introdotto dalla legge 81/2017 che ha sancito in sostanza l’evoluzione del vecchio telelavoro adattandolo ad un contesto produttivo in rapida mutazione per effetto delle impetuose trasformazioni tecnologiche in atto. Questa legge si propone non solo di offrire su base volontaria ai lavoratori dalla abituale sede, ma mira ad individuare anche una diversa modalità della prestazione che valorizzi autonomia e autorganizzazione, pur rimanendo nel solco della subordinazione. Fasi, cicli, obbiettivi si devono sostituire, secondo il legislatore, alla mera esecuzione di ordini: tale nuova concezione del lavoro subordinato dovrebbe portare con sé una nuova concezione del tempo di lavoro nel suo rapporto al tempo di vita».

E ancora: «La legge demanda all’accordo individuale fra lavoratore e datore una serie di importanti contenuti che devono regolare la concreta attuazione dello smart working, tra cui: il diritto alla disconnessione, i limiti dell’esercizio del potere di controllo e disciplinare datoriale, l’attuazione di tutele minime riguardo alla salute e sicurezza, le caratteristiche della dotazione strumentale fornita al lavoratore per poter lavorare fuori sede, e le regole per la sua manutenzione. Sempre la normativa stabilisce preavvisi e modalità di recesso dall’accordo che variano a seconda che lo stesso riguardi lavoratori a tempo indeterminato, determinato o lavoratori affetti da disabilità. Esiste un riferimento chiaro alla contrattazione collettiva nazionale laddove il legislatore esplicita che l’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale non può superare quanto previsto dal CCNL (Contratto nazionale del lavoro, ndr) applicato dalla impresa. Un altro riferimento alla sfera della rappresentanza collettiva è l’obbligo per il datore di lavoro di
fornire con cadenza almeno annuale all’ Rappresentante della Sicurezza una informativa riguardante i lavoratori da remoto presenti in azienda. Pertanto, nel rapporto con le leggi citate il sindacato vuole agire cercando di introdurre il ripristino di tutele temporaneamente sospese dalla legiferazione di emergenza, a partire dall’obbligo dell’accordo individuale o alla necessità che le imprese forniscano i devices per l’effettuazione della prestazione da remoto, evitando l’utilizzo improprio di strumenti personali del lavoratore».

In conclusione: «Riteniamo che una eventuale modifica della Legge 81/2017, da più parti invocata, possa comportare diversi rischi tra cui quello di riaprire una discussione pericolosa rispetto a ciò che caratterizza come autonomo il lavoro prestato in modalità agile rispetto alle garanzie della subordinazione attualmente vigenti. Il diritto alla disconnessione è uno dei problemi ma non è l’unico. In alcuni contratti in fase di rinnovo si tenta di normare le giornate minime di smart- working, il diritto alla disconnessione. È altresì chiaro che l’attuale assenza di potere di intervento della contrattazione collettiva vada superata, o attraverso un intervento limitato e circoscritto del legislatore, o attraverso un accordo quadro nazionale a livello interconfederale. Un possibile scenario da esplorare, che potrebbe costituire anche un terreno di confronto con le controparti datoriali a partire da Confindustria, è quello di allargare la discussione su scala europea, investendo del tema il dialogo sociale tramite un accordo quadro delle parti sociali, per poi addivenire ad una direttiva votata dal Parlamento e successivamente recepita dagli ordinamenti degli stati membri».

Guido Canavesi, docente di Diritto del Lavoro presso UniMc

Significativo anche il parere di Guido Canavesi, docente di Diritto del Lavoro presso l’Università degli studi di Macerata: «La pronuncia del Parlamento UE coglie sicuramente un problema reale che è quello del lavoro agile. Quest’ultimo, ricordiamo, viene considerata una modalità atta a conciliare le condizioni di vita e quelle di lavoro ma nell’esperienza quotidiana capita che le esigenze lavorative vadano sopra, oltre, a quelle familiari. La situazione attuale non corrisponde alla disciplina prevista dalla legge 81/2017 per lo smart working in quanto la fase lavorativa al di fuori dell’organizzazione produttiva non dovrebbe essere svolta solo in una postazione fissa, come l’abitazione, ma in luoghi diversi attraverso l’ausilio di strumenti fissi e telematici».

C’è poi un altro aspetto che Canavesi rimarca: «La stessa legge, nell’art.19, prevede che il contratto individuale nel lavoro agile contenga indicazioni atte ad assicurare la disconnessione e da questo punto di vista potrebbe già essere adeguata indipendentemente da indicazioni che arrivino a livello europeo. I contesti lavorativi sono diversificati, il diritto alla disconnessione va adeguato a quelle che sono le esigenze delle aziende. L’obiettivo resta quindi nella regolazione della disposizione, prevedendo la corretta evoluzione di questa disciplina».