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Fabriano: la ricostruzione che ha funzionato e quella che avanza a fatica

A distanza di 23 anni, le ferite del primo sisma non ci sono più. Quelle del secondo, invece, sono ancora visibili e tante sono le persone fuori dalle proprie abitazioni

La frazione di Belvedere

FABRIANO – Venti interminabili secondi. Ore 11:43 del 26 settembre 1997, il grande boato. Il terremoto colpì duro Fabriano quando era già tarda mattinata. Grida, panico, tutti in strada dagli uffici, dalle case, dalle aziende e da ogni luogo coperto, scuole in primis.

Ci fu anche un morto in quel maledetto venerdì di 23 anni fa, la 65enne Agnese Ciccacci. La sfortunata donna si trovava nei pressi della chiesa di San Biagio e San Romualdo quando la scossa provocò il crollo della facciata del sacrario. Una quantità enorme di macerie che caddero violentemente al suolo. Agnese non fu investita dalle macerie, ma da una pietra che, dopo aver rimbalzato su un corrimano in cemento, la colpì al capo uccidendola.

Oltre a questa incredibile morte, furono effettuati oltre 230 interventi di soccorso nelle ore immediatamente successive al forte sisma. Dieci le persone ricoverate per ferite, altre quindici fortemente scioccate.

Tantissimi i crolli, soprattutto in via La Spina, via Serraloggia e il Borgo. Sette le abitazioni, disabitate, che crollarono. L’85 per cento del patrimonio edilizio del centro storico era lesionato. In totale più di mille sfollati. Nelle frazioni danni ingenti. A Cupo, forse il simbolo del terremoto, il campanile della chiesa rimase pericolante per giorni. A Belvedere, il 90 per cento delle abitazioni fu dichiarato inagibile.

La chiesa di San Biagio danneggiata

Molte le scuole danneggiate, all’Agraria, a esempio, crollò una porzione di pavimento. Danni all’ospedale Engles Profili e inagibile il teatro Gentile. Nelle aziende non si lavorò per molti giorni.

La macchina dei soccorsi, all’epoca il sindaco era Giancarlo Castagnari, si mise subito in moto. Si diede vita a una roulottopoli, in attesa dei moduli abitativi. Subito sostituita da tre villaggi con complessivi mille moduli ubicati davanti al distaccamento dei vigili del fuoco, all’antistadio e in via Aldo Moro.

La zona container di via Aldo Moro

Dopo la sfilata dei politici nazionali, il tratto distintivo tipico dei fabrianesi prese il sopravvento. Con la “tigna” che li contraddistingue da sempre, iniziò la fase della ricostruzione che – ancora oggi – viene presa a esempio e modello.

Con il sindaco, Francesco Santini, la road-map della ricostruzione marciò a pieno regime. Quasi mille cantieri disseminati sul territorio. Nel 1999 si riaprì il teatro Gentile. A fine 2000, la scuola Allegretto di Nuzi ritornò nella propria sede e tornò agibile anche la Cattedrale di San Venanzio. Nel 2002, anche Palazzo Chiavelli era di nuovo fruibile. A cavallo fra il 2000 e il 2001, il 70 per cento degli sfollati, rientrò a casa.

A chiudere la fase della ricostruzione il sindaco di allora, Roberto Sorci. In particolare a Belvedere dove fu costituito il consorzio dei consorzi con la ricostruzione collettiva terminata nella primavera del 2007. Un esempio fulgido di buona amministrazione e di soldi spesi bene che, a ragione, è considerato un modello. Molto diverso da quanto sta accadendo per il sisma del Centro-Italia, agosto-ottobre 2016, dove la ricostruzione è ancora ben lontana dal dirsi completata, anzi.