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Terzo romanzo per Alessandro Moscè, Gli ultimi giorni di Anita Ekberg

Cambio di registro per lo scrittore di Fabriano, che stavolta si concentra sulla vecchiaia e sulla morte, mettendo in scena la vita della grande attrice protagonista della Dolce vita, il film di Fellini che uscì nel 1960

Alessandro Moscè e il suo ultimo libro

FABRIANO – Terzo romanzo per Alessandro Moscè, scrittore di Fabriano, ma anche narratore, poeta e critico letterario. Gli ultimi giorni di Anita Ekberg, il titolo del libro che non ha niente a che vedere con la sua città, spesso luogo eletto di ambientazione sia delle liriche che delle prove narrative precedenti, tra cui Il talento della malattia (Avagliano 2012), consacrato dalla grande critica e considerato dal “Sole24Ore” uno dei migliori romanzi italiani del 2012. È probabile che Il talento della malattia, ancora piuttosto venduto in libreria, possa arrivare alla quarta edizione. Stavolta lo scrittore di Fabriano, Moscè, ha cambiato registro. Ha scritto sulla vecchiaia e sulla morte, mettendo in scena la vita della grande attrice protagonista della Dolce vita, il film di Fellini che uscì nel 1960.

Perché proprio questa diva e perché nei suoi ultimi anni, come recita il titolo?
«Ho lavorato molto alla stesura del romanzo, scritto due volte, la prima a penna e la seconda al computer. È nato per caso. Mi aveva colpito, leggendo un rotocalco settimanale in voga, che Anita Ekberg, una donna tra le più ambite al mondo in gioventù, fosse ridotta in completa povertà e vivesse in una casa di riposo fuori Roma, a Rocca di Papa, dimenticata da tutti. Il romanzo mette in luce due archetipi dell’esistenza e una dicotomia. Giovinezza e vecchiaia, nonché bellezza e morte».

Un libro in cui non mancano i flash back, i riferimenti al passato glorioso, al tempo di Fellini e Mastroianni, i sogni che contrastano con i disturbi fisici di una donna afflitta. Sono numerosi i dialoghi che la Ekberg intrattiene, tra stati d’animo simultanei, sbalzi d’umore, depressione e momentanee riprese.

«Si può essere così ambiti e amati, e poi allontanati e messi in un angolo? Il suo personaggio dimostra che il tempo, grande protagonista della narrazione, decide il destino, inesorabilmente». I dialoghi di Moscè, come il racconto, sono rapsodici, in un turbinio di sensazioni che attraversano la casa di riposo abitata da persone che sembrano fantasmi, l’ombra di ciò che erano».

La copertina del libro

Ma è proprio il sogno che riscatta Anita Ekberg?
«Ci sono miniature intagliate in un tempo passato messo sotto osservazione. Ricordi, dunque, ma non solo. La vecchiaia arriva e rovescia tutto. Seguo un ritmo inquieto, frammentario come la mente della donna, che nella sua smania di guarire da mali reali e immaginari, si pone domande che girano vorticosamente nei colloqui che intrattiene anche con sé stessa. La vicenda è sezionata tra percezioni che si rincorrono in un tutt’uno indissolubile, frenetico. Il polo tematico è mortuario, ma anche sigillato da una tensione che vuole superarlo in una verità risvegliante, custode della rinascita».

La scrittura risulta ibrida, tra brandelli di prosa e parti liriche, dove la lingua viene spezzata e ricondotta a percorsi esistenziali, metafisici. La vecchiaia è un’età che porta con sé pensieri sfilacciati, entità reali e immaginarie. Ma il finale, che non sveliamo, lascia a bocca aperta.