Cento anni fa, il 1 maggio 1919, 2000 filandaie e setarole jesine, guidate da una ostinata donna, l’operaia e sindacalista Gemma Perchi, ottennero la riduzione dell’orario di lavoro ad 8 ore. Tale rivendicazione si stava diffondendo in tutta Italia e in vari settori e proprio Jesi fu uno dei primi comuni in Italia in cui si raggiunse questo importante risultato. Fu una “lotta rossa a tinte rosa”, con le donne protagoniste di una battaglia di oltre vent’anni, costellata di rivendicazioni e lotte, di scioperi durati anche per mesi in un’epoca in cui scioperare, specialmente per le donne, significava non solo sfidare un’opinione pubblica ostile alle donne lavoratrici, ma soprattutto non portare a casa salario e cibo per i propri figli.
La Jesi tra ‘800 e inizi ‘900 fu un polo tessile di grande importanza in una regione peraltro caratterizzata fin dal medioevo da una profonda rete di traffici costruiti intorno alla produzione serica. L’introduzione del vapore e le innovazioni tecnologiche avevano dato sviluppo al settore, tanto che al momento dell’Unità d’Italia le Marche erano la terza regione per presenza di bacinelle a vapore, dopo Piemonte e Lombardia.
In questo contesto, la città della Vallesina si distinse come uno dei centri più attivi, e agli inizi del 1900 si contavano 14 filande che producevano seta grezza ed un cascamificio per la tessitura di filato di seta di qualità, 8 erano gli stabilimenti bacologici per la produzione ed il mantenimento dei bachi da seta; il settore impegnava una manodopera in larga parte femminile, fino al 90%, molte le lavoratrici bambine, in alcuni casi con meno di 12 anni, malgrado le leggi vigenti.
Le condizioni di lavoro erano pesantissime, bassi i salari, pessime le condizioni igieniche degli ambienti causa per le operaie di anemia e tubercolosi, in un contesto segnato da precarietà e stagionalità. Gli orari erano massacranti, e solo nel 1883 si ottennero le 12 ore di lavoro, mentre prima si lavorava fino a 14 ore. Le prime notizie di scioperi delle setarole a Jesi sono documentate nel 1881, con l’agitazione di 60 operaie del cascamificio per l’aumento salariale.
Nel dicembre 1899, 995 operaie di 11 filande jesine ottennero la riduzione dell’orario di lavoro da 12 a 11 ore dopo 7 giorni di sciopero. Proprio in questo periodo le operaie iniziarono ad aderire alle organizzazioni sindacali e a compattarsi. Anche per impulso delle stesse setaiole, riunite in una lega di resistenza, nacque in città nel 1903 la Camera del Lavoro, terza nelle Marche dopo quella di Ancona (1900) e di Macerata (1902), con il compito di mediare domanda e offerta di lavoro, curare le vertenze operai, avviare nuove leghe di resistenza e cooperazione. È in questo contesto che emerge la figura carismatica ed energica di Gemma Perchi.
Nata a Jesi il 1 aprile del 1873, Gemma Perchi, filandaia della Filanda Grilli, nel 1905 è l’anima di uno storico sciopero durato 45 giorni, per la rivendicazione per le 10 ore di lavoro; come componente del comitato di agitazione delle setaiole, entra nella delegazione trattante al tavolo con gli industriali. Quale rappresentante della Lega filandaie e del Comitato Amministratore della Cassa Nazionale di Maternità, entra a far parte anche dell’esecutivo della Camera del Lavoro di Jesi, di cui fu poi Segretario – unico caso in Italia di donna al vertice di una CdL – in circostanze eccezionali: nel 1914, dopo la Settimana Rossa (l’insurrezione popolare di Ancona che poi dilagò in Italia), quando Alfredo Zannoni e Ferruccio Bigi, i maggiori sindacalisti jesini del tempo, furono costretti a riparare in Svizzera, e poi negli anni della Grande Guerra quando gli uomini furono chiamati al fronte. Essendo però una donna, nel 1916 le fu affiancato alla guida camerale un giovane Attilio Campanelli e poi il futuro sindaco Celso Cingolani.
L’operaia e sindacalista era sempre alla testa delle agitazioni delle setaiole, contro la guerra, contro il caro viveri, e in numerose iniziative di sostegno alle donne lavoratrici e per la costruzione di scuole aperte ai figli delle operaie. Nel 1918 una grande mobilitazione delle filandaie di Jesi e Cupramontana spuntò le 9 ore lavorative; nel 1919 il sindacato nazionale tessile Fiot ottenne le 8 ore lavorative, con decorrenza dal 1 maggio, ma fu grazie alla mobilitazione della Perchi e compagne che il beneficio – valido inizialmente solo per gli uomini – fu esteso anche alle lavoratrici. Perseguitata durante il fascismo, la Perchi morì il 22 gennaio 1957 lasciando in eredità la memoria delle battaglie di una moltitudine di donne e di uomini grazie al cui impegno godiamo dei diritti di oggi.
Diritti come quello di un lavoro equo, negli orari e nel salario; il diritto ad un ambiente di lavoro salubre e sicuro; il diritto dei lavoratori di potersi organizzare per migliorare le proprie condizioni, attraverso sindacati e rappresentanti; il diritto di protestare e di far sentire la propria voce quando si è sfruttati; il diritto, anche, delle donne ad avere visibilità, riconoscimento sociale, di poter partecipare alla sfera pubblica e di poter contribuire con le loro idee ed il loro lavoro al progresso della comunità; ed il diritto dei bambini e delle bambine di poter godere di un’infanzia serena, tra giochi e scuola, senza dover lavorare.
“Cento anni di otto ore”, la manifestazione che a Jesi, Morro d’Alba, Staffolo, ricorda la conquista delle 8 ore lavorative da parte delle Setarole e Filandaie Jesine capitanate dalla tenace Gemma Perchi, termina oggi. Promossa dall’associazione Willer & Carson, in collaborazione con i tre Comuni e una moltitudine di associazioni, la manifestazione ha saputo consegnare ai cittadini la consapevolezza che il primo maggio è la festa di tutti noi.