JESI – Il primo ottobre 1821 Giacomo Costantino Beltrami partì da Filottrano in “esilio volontario”, come altri tremila italiani in quei mesi di Restaurazione. Non sapeva dove stava andando né quando sarebbe tornato, scriveva nelle sue lettere. La sua curiosità era così grande da superare la sua malinconia e il suo vagabondare diventa una ricerca, un’osservazione attenta e competente dei luoghi che attraversava, che confronta e di cui coglie le storie, dei tempi antichi più o meno remoti e i costumi del vivere odierno ma anche i paesaggi e le novità con grande sensibilità e acutezza.
Giovedì 23 giugno alle 21.15 nel cortile di palazzo della Signoria a Jesi, è in programma la presentazione del volume “Un pellegrinaggio in Europa” di Giacomo Costantino Beltrami. Interverranno i curatori, Tullio Bugari e Silvano Staffolani, con l’editore Alessandro Seri e saranno accompagnati dalle musiche di Lorenzo Cantori (Duo Acefalo).
In questa stampa viene riproposto, tradotto in italiano e con l’aggiunta di diverse note esplicative, il primo dei due volumi che Giacomo Costantino Beltrami aveva pubblicato in inglese nel 1828 con il titolo “A pilgrimage in Europe and America leading to the discovery of the sources of the Mississippi and bloody river”. A differenza del secondo volume, tuttora reperibile anche in italiano, il primo non è più stato tradotto dopo alcune versioni della metà del secolo scorso ormai irreperibile e quindi si è tentato in questo modo di colmare tale lacuna per consentirne una nuova riscoperta.
All’autore Bugari abbiamo chiesto quanto è stato difficile raccontare Beltrami e il metodo di lavoro per la ricerca. Come e cosa avete scoperto questo personaggio?
«È un personaggio della zona, ne avevamo sentito parlare e ci ha incuriosito approfondirlo. In Italia non è molto conosciuto e non tutti i suoi libri sono stati tradotti, soltanto il secondo volume del viaggio in America. Sono libri epistolari e questo iniziava dalla lettera 12, quindi ci siamo messi in moto per capire dov’erano le altre 11. Abbiamo trovato il testo scritto in inglese pubblicato 200 anni fa e non ci risultava nessuna traduzione di questo primo volume. Raccontare Beltrami non è impresa semplice, sia per la ricchezza e originalità del suo viaggio. Attraversò l’Europa in 13 mesi, in carrozza, a piedi, a dorso di mulo o in barca, visitando città, descrivendone non solo la storia e le opere d’arte ma anche i costumi, i sistemi politici e la vita sociale, e poi in undici mesi il nord degli Stati Uniti allora inesplorato, scoprendo le sorgenti settentrionali del Mississippi. Non solo il suo viaggio è interessante ma anche la sua vita prima della partenza risulta assai ricca di avvenimenti e collegamenti, ad esempio i contatti avuti nei salotti letterari e club letterari con personaggi quali Byron, Foscolo, Chateaubriand e altri».
Cos’ha significato seguirlo nei suoi racconti?
«È un personaggio affascinante. La scoperta delle sorgenti è forse la cosa più esotica. L’autore del romanzo “L’ultimo dei Mohicani” ha plagiato i racconti di Beltrami. Il cacciatore bianco che si vede nel film è il suo ritratto. Il viaggio nel suo insieme in realtà non è né improvvisato né esotico, tutto quello che racconta ha un alto valore scientifico. Anche il viaggio in Europa, quello cui si presta meno attenzione, ha affascinato molto perché Beltrami l’attraversa passando non solo per Parigi e Londra ma anche per molti luoghi che si ferma a descrivere, così come i sistemi politici e la società: quindi il libro diventa una descrizione dell’Europa di 200 anni fa in un periodo politico molto particolare dopo l’età napoleonica e l’inizio della Restaurazione. Rivivere insieme a lui quell’epoca di passaggio e metamorfosi tra il mondo antico e moderno, nei primi decenni dell’Ottocento, è bellissimo. I suoi commenti sono sempre acuti, puntuali, competenti e spesso ancora attuali. È stato un personaggio di ampia cultura umanistica, degli autori antichi e delle arti e dell’architettura, anche con curiosità di tipo sociale. La descrizione non è mai banale ma ricca di citazioni. Interviene anche a correggere i critici dell’epoca. Curioso scoprire che cent’anni dopo hanno dato ragione alle sue osservazioni. La difficoltà non è stata tanto la traduzione dall’inglese quanto capire le citazioni».
Qual è stato il metodo di ricerca?
«Siamo partiti dalla traduzione e dai modi in cui si viaggiava allora (dogane, passaporti, strade) cercando anche riscontri in altri autori e personaggi dell’epoca che hanno raccontato i loro viaggi come Giacomo Leopardi, contemporaneo a Beltrami. Poi abbiamo studiato tanto la sua biografia oltre al viaggio in sé che in realtà dura 16 anni. Quando è partito, per non rischiare di finire in prigione, aveva già 42 anni. Nelle Marche era arrivato per fare il giudice alla Corte di giustizia di Macerata nel periodo del Regno d’Italia filo napoleonico e quindi si era trovato a partecipare alla caccia ai briganti che c’erano nella zona tra Filottrano, Appignano e Treia. A Filottrano poi ci è anche tornato alla fine dei suoi viaggi. È stato anche proprietario terriero perché aveva acquistato un’azienda di 500 ettari, fatto interessante anche per capire l’agricoltura dell’epoca. Un personaggio poliedrico insomma con tanti argomenti da approfondire che gravitano attorno alla sua persona. La nostra ricerca in archivi di Stato è andata avanti per molto. Stiamo continuando ad approfondire per trovare ulteriore materiale. Alcuni critici discutevano se lo stile epistolare da lui adottato fosse un pretesto per scrivere, senz’altro più adatto a lui perché fu un affabulatore, oppure se c’era un epistolario reale: è stata ritrovata una lettera diretta a una contessa di Macerata che alcuni critici hanno scambiato per un’altra contessa, che era stata l’amore, forse paltonico, della vita di Beltrami. Questa contessa era morta un anno prima della sua partenza. Le sorgenti del Mississippi portano ancora il suo nome, Julia lake (lago Giulia), così come esiste una regione del Nord del Minnesota che si chiama ancora oggi Contea Beltrami. All’archivio di Stato di Macerata ho trovato per caso sette lettere di questa contessa, un paio delle quali si riferivano al viaggio in Europa. Si scrivevano davvero quindi, forse lui iniziò a scrivere più per prendere appunti ed è probabile che il libro gli sia venuto in mente dopo. Ne stiamo comunque individuando altre».