ANCONA – C’è chi dice che i giovani siano fannulloni e chi lo pensa senza dirlo. C’è chi li attacca e li deride, perché non ci sono più i valori di una volta. E poi, c’è chi si spinge a dire che i giovani siano tutti un branco di sbandati, in fila davanti alle discoteche per la movida del sabato sera. Baby gang da strapazzo e terrore delle città italiane: ah, questi giovani.
Certo – verrebbe da dire – quella delle baby gang, ad esempio, è una realtà e come tale va osservata e raccontata. Ma di realtà, accanto a quella di teppismo e ribellione, ve n’è anche un’altra. Quella di giovani che la mattina, magari dopo una serata in disco, si rimboccano le maniche e raccolgono aiuti per la popolazione ucraina, dai vestiti ai viveri, passando per i medicinali. Proprio loro, i giovani, che la guerra l’hanno letta solo sui libri di scuola.
Giovani che dopo l’incubo della pandemia e il timore (talvolta ossessivo) del contagio si ritrovano ad affrontare una guerra che stavolta si vede eccome. Non più solo il nemico invisibile del covid, ora anche i mitra spianati e pochi chilometri dall’Italia, nel cuore dell’Europa.
Che poi a combattere vanno spesso i coetanei dei liceali. Prendiamo, come esempio, la raccolta di aiuti realizzata dal liceo Galileo Galilei di Ancona. Tutto è iniziato con un messaggio su Whatsapp dei rappresentanti di istituto.
Un passaparola fenomenale e inaspettato, tanto che ora si cercano solo medicinali da inviare al fronte, perché di viveri, vestiti e coperte ce ne sono già troppe, come ha recentemente dichiarato – dalla parrocchia di Vallemiano – Don Mihajlo Korceba, riferimento anconetano della comunità ucraina.
«La solidarietà dipende dalla sensibilità personale e individuale. Sicuramente, è una propensione di chi è parecchio sensibile e aperto di mente (perché magari ha fatto esperienze all’estero, viaggia o conosce gente ucraina). Ma l’Ordine degli psicologi delle Marche non ha dati in questo senso, evidenzia la sua presidente, Katia Marilungo.
Moltissimi i giovani nelle piazze italiane con la bandiera della pace: «Dipende dal dialogo con famiglie e insegnanti. Se c’è stato dialogo, c’è stata sensibilizzazione e ora c’è sensibilità e solidarietà».
«Le nuove generazioni – riflette Marilungo – hanno una spiccata sensibilità per le tematiche sociali, di educazione civica, di rispetto dell’ambiente e delle diversità, poiché anche la scuola, negli ultimi anni, si è sempre più focalizzata su questi temi».
Secondo il pedagogista Filippo Sabattini, dell’impresa sociale Wega di Pesaro, «i ragazzi che non hanno vissuto l’esperienza della guerra rimangono spiazzati dal conflitto. Sono i primi ad essere educati al senso di appartenenza e alla pace e il conflitto risveglia in loro un mondo che non avevano immaginato possibile. Quindi, la reazione di solidarietà e le manifestazioni sono il bisogno di avere alcuni valori di condivisione e di far sentire la loro voce al mondo adulto».
La solidarietà di scuole e parrocchie? «I ragazzi vengono da due anni di covid, in cui hanno sperimentato. Di fronte al virus, puoi poco. Di qui, il bisogno di uscire dalla passività degli adolescenti. L’idea del poter fare non mi colpisce – continua Sabattini – è la reazione per non entrare nella rassegnazione. Sapere di poter fare qualcosa ti tiene fuori dalla rassegnazione. Se col covid potevano poco, ora generosità, solidarietà ed empatia aiutano a reagire allo stato di impotenza, benché ad alcuni adolescenti possa sembrare che la guerra non li riguardi direttamente».
«In più, c’è la paura della parola nucleare, a cui non eravamo abituati. E l’agire, l’avere una reazione è un modo per elaborare paura e angoscia che abbiamo. Se possiamo fare, siamo fuori dalla impotenza, che è preludio all’esperienza del trauma».
La raccolta fondi o la gara di solidarietà del liceo Galieli di Ancona sono «piccoli gesti che non possono fermare una guerra – illustra Sabattini – ma che, nel loro piccolo, mandano un segnale al mondo. Un segnale che forse non arriverà in Russia, ma che arriva al vicino di casa, agli adulti che molto spesso guardano i giovani come la generazione del nichilismo passivo. Ecco – conclude il pedagogista – in quelle azioni c’è la parte del nichilismo attivo dei giovani. La cui caratteristica è poter osare ancora qualcosa senza rassegnarsi».