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I danni della plastica in mare, gli esperti del CNR rispondono alle domande

I ricercatori Emilio Notti, Luca Bolognini e Pierluigi Staffella hanno analizzato il problema della plastica in mare prevedendo alcuni sviluppi futuri anche in ottica di prevenzione

Immagine di repertorio

ANCONA- Il problema dei rifiuti plastici in mare sta diventando troppo importante per poterlo rinviare. Ogni anno circa il 3% della plastica, quantificata in circa 10 milioni di tonnellate, finisce in mare creando un vero e proprio problema di dimensioni. Infatti, la degradazione della plastica da macro a micro frammenti è il processo dinamico che influenza il comportamento di questo materiale nell’ambiente marino. Le micro e nano plastiche sono considerate un inquinante emergente con caratteristiche molto diverse dai classici composti chimici in quanto non sono solubili e continuano a comportarsi, durante il loro percorso ambientale, come dei materiali. I ricercatori del CNR-IRBIM (Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine), diretti dal prof. Gian Marco Luna, monitorano costantemente le acque e sono da tempo impegnati a contrastare la diffusione di questo nuovo fenomeno di inquinamento.

Abbiamo provato a porre loro dei quesiti, ottenendo risposte esaurienti fornite da parte dei ricercatori Emilio Notti, Luca Bolognini e Pierluigi Staffella.

Il problema dei rifiuti plastici in mare non è più trascurabile…
«Certamente, si tratta di un problema reale e di ampie dimensioni. La maggior parte della plastica rilasciata nell’ambiente finisce nel delicato ecosistema marino, dove si raggiungono valori impressionanti di rifiuti plastici (circa l’80% del totale dei rifiuti negli oceani è costituito da plastica) i quali possono essere riscontrati sia galleggianti che sui fondali. La plastica che arriva in mare può essere di varia natura e grandezza, si va dalle megaplastiche (maggiori di 1 m) fino alle micro e nanoplastiche. La grande maggioranza delle plastiche nei mari e negli oceani è costituita da frammenti microscopici di grandezza minore di 5 mm. Il problema in effetti non è più trascurabile, ne sono evidenza le centinaia di pubblicazioni scientifiche, incluse quelle del nostro Istituto CNR IRBIM e la sempre crescente attenzione che a livello nazionale ed internazionali (Comunità Europea in primis) viene rivolta a questo inquinante, attraverso call di progetti ed attività per studiare la dimensione del problema o e per identificare strategie di mitigazione di questa problematica».

Quando si parla di plastica come inquinante emergente a cosa si fa riferimento?
«Vengono definiti contaminanti emergenti quelle sostanze, ancora poco conosciute, che possono essere candidate ad essere regolamentate in base alla loro tossicità ed ai loro potenziali effetti sulla salute umana e sull’ambiente. Tra queste rientrano a pieno titolo le microplastiche, un inquinante che rappresenta ancora oggi un’incognita per i ricercatori di tutto il mondo in relazione al reale impatto che potrebbero avere sull’ecosistema e sull’uomo. La gran parte delle microplastiche è costituita da polietilene e polipropilene, usati nella costruzione di imballaggi e materiale usa e getta. Altri polimeri, derivano dall’industria tessile, come acrilico, poliammide e poliestere. Le microplastiche sono presenti in ambiente marino con forme diverse, ad esempio sfere, pellets, fibre e film. Le microplastiche contengono anche un mix di prodotti chimici, detti «additivi» come monomeri, oligomeri, plasticizzanti, ritardanti di fiamma etc., che possono essere rilasciati nell’ambiente marino. In più, le stesse microplastiche sono in grado di assorbire e concentrare composti chimici presenti in ambiente per poi rilasciarli, se sottoposte a stress naturali chimici e fisici. Tra questi composti i ricercatori hanno trovato policlorobifenili (PCBs), idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), ftalati e metalli pesanti (rame, zinco), che sono tutti inquinanti potenzialmente tossici se presenti in elevate concentrazioni. Sulla superficie delle particelle di plastica si possono anche addensare vari microorganismi, raggiungendo delle concentrazioni maggiori rispetto alla loro normale presenza in ambiente, risultando così potenzialmente vettori di patologie per diverse specie marine, rappresentando di fatto una minaccia in termini di diffusione di patogeni.

Quali sono i rischi della diffusione di questi composti nelle acque?
Gli organismi marini, incluse specie edibili come pesci e molluschi, possono ingerire le microplastiche, difatti tali microplastiche sono state ritrovate nel tratto digerente di scampi, mazzancolle, gamberi rosa, ed ancora nel mitilo e nell’ostrica o sulla superficie esterna e nel tratto gastrointestinale di larve e stadi giovanili di sardine e acciughe, tonno, pesce spada, triglia, nasello e il pesce San Pietro, nelle razze ed anche nei mammiferi marini. Una volta ingerite le microplastiche possono rilasciare diversi composti chimici che verranno assorbiti dall’animale, portando a conseguenti alterazioni del sistema immunitario, effetti tossici a livello tissutale, cellullare e molecolare, (genotossicità), oltre ad interferenza sull’alimentazione, la respirazione e la riproduzione. Uno degli effetti ipotetici delle microplastiche attualmente in fase di studio è il cosiddetto effetto «cavallo di Troia». Si tratta di quel meccanismo per cui dopo essere state ingerite, le microplastiche subiscono diversi processi chimici nel tratto digerente (dovuti alle condizioni chimiche e fisiche dell’ambiente del tratto digerente) rilasciando gli inquinanti precedentemente adsorbiti dall’ambiente, agendo di fatto come un «cavallo di Troia». Tali inquinanti si potrebbero accumulare nel muscolo di specie commerciali, risultando un rischio per la salute umana. Ecco perché le microplastiche rientrano a pieno titolo dei possibili nuovi inquinanti emergenti, anche se ancora numerosi dubbi assillano i ricercatori ed è necessario studiale ancora per comprenderne a pieno i reali rischi sull’ambiente e sull’ essere umano, oltre che le possibili precauzioni da attuare per ridurne al minimo gli effetti».

Nelle vostre attività di monitoraggio quali sono i dati che saltano all’occhio maggiormente?
«Il primo dato, e forse il più allarmante, è la massiccia presenza di questi materiali plastici nell’ecosistema marino. Dalla pluriennale attività di monitoraggio del CNR IRBIM di Ancona si è evinto che le materie plastiche ritrovate in tutto l’Adriatico risultano essere più del 40% di tutti i rifiuti raccolti nel fondo marino. Si è calcolato che mediamente si possano trovare 34 kg di plastica ogni km2 di fondale marino, in pratica come se ci fossero più di 1000 bottiglie di plastica da 0,5 litri (circa 30 grammi) ogni km 2: una quantità effettivamente enorme. Sino a poco tempo fa si credeva che questi materiali fossero dispersi esclusivamente nell’ambiente, ma ci stiamo rendendo conto che questi materiali sono entrati anche negli organismi, attraverso le reti alimentari. Sempre più pubblicazioni scientifiche dimostrano come tali sostanze siano assimilate dagli organismi marini. Al CNR IRBIM abbiamo studiato la quantità di microplastiche nelle sogliole pescate in Adriatico, evidenziando come il 95% contenevano microplastiche nel tratto digerente, così come la presenza di microplastiche nei mitili selvatici prelevati nelle stesse zone. Ultimamente la nostra attenzione è rivolta a quantificare la presenza di microplastiche nello scampo pescato nell’Adriatico centrale, in particolare lo sforzo è quello di evidenziare la possibile presenza di microparticelle plastiche nella parte edibile di questo crostaceo dal grande valore commerciale».

A Greenpeace diver holds a banner reading “Il Mare non e’ una Discarica” (The sea is not a dumpsite), next to plastic waste on the bottom of the sea. Greenpeace together with The Blu Dream Project, the CNR-IAS and the University of the Marche region carry out a tour in the Tyrrhenian Sea to document the plastic and microplastics pollution in the marine ecosystem.

La grande nave dedicata al monitoraggio e alla pulizia delle plastiche in mare potrebbe cambiare diametralmente lo scenario attuale?
«Diverse sono le infrastrutture e le tecnologie innovative che si stanno sviluppando per dare un importante contributo per aggredire il problema della presenza dei rifiuti in mare. Tecnologie come quella del Green Plasma testata ieri – 2 dicembre – ad Ancona possono dare un forte impulso alla bonifica dei mari ed alla risoluzione del problema. Certamente il tema del recupero dei rifiuti in mare è di estrema attualità ma dal punto di vista delle tecnologie e degli approcci risolutivi necessita di numerosi approfondimenti. Tuttavia, approcci basati sullo sviluppo di navi possono dare un contributo significativo ma saranno risolutive solo del problema dell’inquinamento a valle. Allo stesso modo è altrettanto importante approcciare soluzioni a monte, che possono riguardare la progressiva rinuncia all’utilizzo di plastiche monouso, la possibilità di creare polimeri maggiormente compatibili con l’ambiente marino, ed altri. Ma accanto a questo approccio di medio termine, dobbiamo sottolineare le potenzialità che le imbarcazioni esistenti possono rappresentare, secondo la logica per cui il poco di tanti può essere valido tanto quanto, se non superiore, al tanto di pochi. Ne è un esempio un’azione pilota lanciata dal Cnr Irbim presso la marineria di Ancona, volta a verificare la fattibilità tecnica di un protocollo di circolarizzazione dei rifiuti plastici, che prevede un diretto coinvolgimento di imbarcazioni da pesca, che operano come operatori ecologici del mare, riportando a terra quei rifiuti plastici che intercettano durante il normale svolgimento delle loro attività in mare. Questi rifiuti, provenienti dalle attività e dalle fonti più eterogenee, secondo quanto previsto dal protocollo ipotizzato, sono caratterizzati e preparati per una successiva trasformazione, fino alla destinazione a materia prima seconda e alla reintroduzione nei cicli produttivi. Il tutto svolto “a km 0”, grazie al coinvolgimento di una serie di attori locali, ciò a vantaggio della funzionalità di questa iniziativa pilota, che ha lo scopo di verificarne l’effettiva applicabilità, al fine di arricchire con dettagli e informazioni, possibili discussioni sia di carattere tecnico-economico, sia di carattere politico gestionale (rif. Legge Salvamare). Questa iniziativa, che tenta di capitalizzare importanti esperienze passate come il progetto Clean Sea Life, il Net4mPLASTIC, DefishGear, è parte delle iniziative ricomprese nel progetto CISP (Centro per l’innovazione e sviluppo pesca; https://www.cisp-flag.eu), finanziato dal Flag Marche Centro e intende contribuire forzando il baricentro del tema del recupero dei rifiuti dal recupero fine a se stesso ad un approccio circolare, che possa quindi grazie ai potenziali benefici economici che ne derivano, fungere da catalizzatore per il superamento delle complessità tecniche e per favorire l’esternalità di tali buone pratiche, peraltro ormai ben accettate e più che condivise dalla gran parte degli operatori ittici».

Quanto è importante da parte di tutte le istituzioni promuovere una corretta attività di prevenzione ed educazione soprattutto verso i più giovani?
«La prevenzione e una corretta educazione sono fondamentali in qualsiasi processo di cambiamento. Basta guardarci intorno per capire come i materiali plastici in generale rivestano un ruolo rilevante nella vita di tutti i giorni, trattandosi di uno dei materiali principalmente utilizzati per molti oggetti di uso quotidiano. Questi materiali sono estremamente duttili, adattandosi all’impiego nei settori più svariati, dai manufatti al confezionamento, fino all’impiego nella componentistica; inoltre, tali materiali presentano l’incredibile vantaggio di poter essere riciclati, consentendo una seconda vita ad oggetti passati in disuso. Il problema nasce quando viene fatto un uso scorretto della materia plastica, vale a dire una raccolta poco efficiente, una gestione del rifiuto scorretta e una mancata riconversione in nuovi oggetti. Tutti questi meccanismi scorretti portano a gravi conseguenze in termini di danni per l’ambiente e per gli organismi biologici ad esso associati, uomo compreso. Da qui è comprensibile immaginare quanto sia importante educare le nuove generazioni, basandoci sugli sbagli sin qui commessi. Ma questa attività non è rivolta esclusivamente ai più giovani, ognuno è chiamato a dare il proprio contributo per cercare di affrontare il problema nel modo più corretto. La scienza sta facendo passi avanti, apportando soluzioni tecnologiche ed innovative inimmaginabili sino a pochi anni fa, ne è l’esempio il pirolizzatore presentato l’altro giorno al porto di Ancona, ma ogni singolo cittadino, in quanto membro della nostra società deve porsi nell’ottica di apportare il proprio contributo. Come Cnr Irbim stiamo lavorando ad attività di ricerca ed esperimenti pilota relativi all’identificazione, riduzione e sostituzione dei materiali plastici utilizzati in mare, cercando di dare il nostro contributo a questo problema nei mari. Un esempio è lo studio nell’ambito di un progetto FEAMP volto ridurre l’utilizzo della plastica in acquacoltura per l’allevamento dei mitili, fonte importante di certe tipologie di rifiuto riscontrate di frequente nei fondali dell’Adriatico. Altre iniziative internazionali stanno a poco a poco prendendo piede, come quella che vede un gruppo di giovani entusiasti darsi da fare per cercare di mettere il singolo cittadino nella condizione di riciclare la plastica che tutti noi abbiamo nelle nostre case per creare nuovi oggetti, donandogli una seconda vita, o addirittura generando una redditività. A volte la strada giusta non è la più facile, ma con il contributo di ognuno è più semplice percorrerla insieme».