Senigallia

In rete contro le mafie: Don Paolo Gasperini racconta Libera

L'intervista al coordinatore provinciale dell'associazione fondata da Don Luigi Ciotti: al centro delle attività, educazione alla legalità, memoria, giustizia

Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è nata il 25 marzo 1995 con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. È una rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout, coinvolti in un impegno non solo “contro” le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma anche “per”: per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione.

È presente su tutto il territorio italiano in 20 coordinamenti regionali, 83 coordinamenti provinciali e 304 presidi locali. Sono 80 le organizzazioni internazionali aderenti al network di Libera Internazionale, in 35 Paesi d’Europa, Africa e America Latina. Nelle Marche, ci sono tre coordinamenti provinciali, ad Ancona, Pesaro e Ascoli Piceno, e vari presidi cittadini, tra cui quelli di Macerata e Fermo. Nel coordinamento provinciale di Ancona, i presidi cittadini sono quelli di Ancona e Senigallia, i sostenitori sono circa un centinaio e un terzo di essi sono volontari attivamente impegnati nelle tante attività di Libera. A fare da coordinatore provinciale per l’anconetano è Don Paolo Gasperini, una presenza molto nota a Senigallia (è il parroco della Chiesa di Santa Maria della Neve – Portone) e tra le cittadine in cui Libera è sempre molto presente con i suoi vessilli e le tante iniziative.

Don Paolo, cosa fa Libera?

«I pilastri di azione sono principalmente due, memoria e impegno. Dunque realizziamo percorsi di formazione e percorsi educativi, ci impegniamo nel tenere vivo il ricordo delle vittime innocenti di mafia e a non lasciare sole le loro famiglie, promuoviamo la cultura della legalità nelle scuole di ogni ordine e grado, tra i giovani ma anche tra le professioni, prestiamo attenzione a ciò che ci accade intorno per segnalare le situazioni più esposte al rischio di infiltrazione mafiose, inoltre promuoviamo l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie».

Don Paolo Gasperini

Un’attività molto intensa… Partiamo da quella con e per i giovani, allora

«Dedichiamo grande spazio alla formazione nelle scuole di ogni ordine e grado, fino alle università, con progetti di educazione civica di varia natura: ai ragazzi facciamo conoscere le attività di Libera, parliamo delle vittime innocenti di mafia e lavoriamo sulla memoria, spieghiamo che cosa sono i beni confiscati alla criminalità organizzata e come vengono impiegati per scopi sociali. Insomma, cerchiamo di diffondere la cultura della giustizia perché questo è il terreno in cui si innestano le buone pratiche, personali e collettive. Con gli studenti è molto importante, inoltre, parlare di quanto sia importante guardarsi intorno, saper riconoscere le cose buone da quelle cattive, alzare le antenne insomma…»

Nota nei ragazzi un atteggiamento distratto verso il tema delle mafie?

«In generale, è un atteggiamento che riguarda molti, e non solo i giovani. Qualche anno fa l’associazione ha realizzato una indagine sulla percezione del fenomeno, ed è emerso a livello nazionale che la maggior parte delle persone pensano che le mafie esistono ma sono lontane da noi, insomma non ci riguardano. Si fa molta fatica a riconoscere il problema. La nostra idea, invece, è che non si può lottare contro la criminalità organizzata solo su un piano giuridico, è necessario che l’intera collettività sviluppi gli anticorpi sociali, venga insomma educata alla cultura della legalità e della trasparenza, al saper riconoscere i segnali, anche piccoli, di infiltrazioni pericolose.. L’associazione Libera lavora proprio su questo».

Come è la situazione nella nostra regione?

«Le organizzazioni di tipo mafioso sono presenti, pur non essendo così radicate nel territorio qui transitano e fanno affari; ci sono ad esempio le mafie albanesi o nigeriane che gestiscono il mercato della droga, a loro volta collegate ad altre associazioni criminali. Di sostanze stupefacenti ne circolano parecchie, e sono droghe molto pericolose. Ci sono fenomeni di pendolarismo della mafia foggiana per furti, c’è camorra e ndrangheta ma non stanziale… Da monitorare con attenzione sono gli appalti, la ricostruzione è uno snodo delicato: le esperienze sul campo ci dicono che in busta paga si nascondono talvolta pratiche irregolari per riciclare denaro. Quindi è importante attenzionare, non per essere allarmisti ma per essere realisti. Da parte nostra non facciamo indagini poliziesche, ma se notiamo che si sono cose poco chiare come appalti strani lo segnaliamo alle autorità competenti».

Quando è nata l’associazione Libera?

«Nasce a seguito delle stragi del 1992, in cui rimasero uccisi Falcone, Borsellino e le loro scorte. Da quella stagione di terrore mafioso, che proseguì in altri luoghi e con molte vittime, nacque l’esigenza di lavorare per far crescere la cultura della legalità nell’intera società. Così è nata Libera, all’inizio era un’associazione tra associazioni, poi sono entrati anche singoli cittadini; il primo presidente è stato Don Luigi Ciotti. La prima azione fu lanciare una petizione popolare per varare la legge sulla confisca dei beni ai mafiosi e ai corrotti nell’ambito della criminalità organizzata».

Legge che è stata poi approvata.

«Dall’entrata in vigore della legge 109/96 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, la restituzione alla collettività delle ricchezze e dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali è diventata un’opportunità per il bene comune. La forza della legge è quella di depotenziare il mafioso che nel territorio si faceva forte di questi beni (parliamo di case, aziende, terreni, denaro..). Il cambio di struttura consente allo Stato di recuperarli come luoghi sociali: ciò che il mafioso o il corrotto aveva sottratto al bene comune grazie all’illegalità, ora la comunità se lo riprende. I beni confiscati sono strumenti per dare nuove energie ai nostri territori, con pratiche di economia e di sviluppo sostenibile».

Cosa fa Libera nei terreni confiscati alle mafie?

«Libera non gestisce direttamente i beni confiscati alla criminalità organizzata, ma aiuta nella costruzione di processi di partecipazione e di rete. Promuoviamo interventi formativi e di progettazione partecipata, e, attraverso il marchio Libera Terra, supportiamo aziende cooperative autonome che lavorano nei terreni liberati dalle mafie, facilitando la distribuzione dei loro prodotti».

Ci sono poi i progetti sulla Memoria, la Giustizia, i campi estivi…

«Altro grande capitolo dell’attività dell’associazione è appunto quella di mantenere vivo il ricordo delle vittime innocenti delle mafie, e di camminare al fianco dei loro familiari, organizzando momenti di confronto, testimonianza e formazione. Nelle aule dei tribunali, ai processi contro i boss, Libera si costituisce parte civile, un atto di vicinanza concreta ai familiari delle vittime. Assistiamo i testimoni di giustizia, le vittime dell’usura e del racket. E poi ci impegniamo nella giustizia riparativa o rigenerativa: il nostro gruppo collabora con il centro giustizia minorile Emilia Romagna Marche nei percorsi di messa alla prova, aiutiamo i minorenni a fare percorsi formativi ed esperienze, se possibile li portiamo alla giornata nazionale della memoria per le vittime di mafia che si celebra il 21 marzo, o nei campi di Libera come quello che ogni anno si tiene a Cupramontana. Parliamo di Podere Tufi, bene confiscato a Enrico Nicoletti, tesoriere della Banda della Magliana, e che ospita una Comunità per utenti con disagio psicologico; i ragazzi del campo estivo di Libera collaborano con gli utenti nei lavori dell’orto e nelle attività, e nel pomeriggio fanno la formazione al volontariato».

podere tufi cupramontana
L’orto biologico del Podere Tufi di Cupramontana

Quanti sono, nelle Marche, i beni confiscati alle mafie?

«Sono numerosi, ma bisogna distinguere tra beni confiscati che hanno concluso l’iter e che non sono stati ancora assegnati, e quelli che sono stati già assegnati ai Comuni. Il processo finalizzato alla confisca in via definitiva, e alla restituzione alle comunità e ai territori, è gestito dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Nelle Marche, tra i beni assegnati, quelli di Isola del Piano e di Cupramontana sono i i due “storici”, il primo è una villa confiscata a Ruggero Cantoni, imprenditore che gestiva un’organizzazione criminale nel Nord Italia, il secondo è Podere Tufi dell’ex Banda della Magliana. Poi ci sono un paio di case a Fano, un paio di appartamenti a Grottammare, e un bene a San Benedetto del Tronto. Già assegnata al Comune di Pioraco una villa sequestrata all’ex generale Emilio Spaziante nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti del Mose di Venezia».

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