ANCONA – Oggi – 6 maggio – è il giorno dell’incoronazione di Re Carlo III, il sovrano britannico. Un momento molto sentito dalla Nazione e che attira l’attenzione anche a livello internazionale. Ne abbiamo discusso con il professor Tito Vagni, docente di Comunicazione di Massa e Media Digitali all’Università di Macerata.
Professore, oggi qual è il senso di una monarchia, un simbolo o una bussola?
«In una società in cui i cambiamenti accadono al ritmo dell’istantaneità dei messaggi WhatsApp, e tutto sembra rapidamente obsoleto, un’a ‘istituzione che attraversa le epoche, facendo poche concessioni alle mode del momento, rappresenta un luogo comune, vale a dire un luogo in cui molti possono confluire per trovare rassicurazioni e solidità. La Corona inglese è ammantata ancora di un’aura sacra, nulla a che vedere con la religione, ma con il mistero, e ciò la rende ancora seducente sia per i suoi sudditi sia per i pubblici che sono interessati alla sue vicende. Nonostante i continui tentativi di umanizzare i reali, attraverso il gossip o la serialità televisiva, la Monarchia gestisce molto bene i suoi spazi da ribalta e i suoi retroscena, la sua dimensione pubblica e quella più privata ponendo i sudditi sempre o quasi alla giusta distanza. In Italia, soprattutto nell’ultimo decennio, è accaduta una cosa simile: la labilità del sistema parlamentare è stata arginata dalla presenza vigile del Presidente della Repubblica, una carica che ha durata superiore a quella di un governo, pertanto riesce a infondere un forte senso di solidità e a praticarla. Ovviamente, il Presidente della Repubblica è eletto, non c’è nessuna successione dinastica.
Quali le principali difficoltà che dovrà affrontare Carlo d’Inghilterra, che raccoglie un’eredità culturale, storica e simbolica pesantissima?
«Carlo è una figura minore, è stato lungamente surclassato dalla potenza simbolica e politica della madre, e oggi la sua incoronazione è percepita come un esito inevitabile. L’immaginario che puntella la sua figura non è splendente. Ho l’impressione che sia inteso come una figura di transizione, anche perché sarà incoronato Re a 74 anni. C’è un però. Quello che ci attende è tecnicamente una grande cerimonia mediale. L’altra straordinaria cerimonia mediale, su cui la sociologia dei media ha riflettuto molto, è stata proprio la morte della Principessa Diana. I rituali della Corona sono difficilmente prevedibili. Quello che riuscirà a fare, ammesso che abbia obiettivi al di là del mantenimento del potere, dei privilegi e dei confort della Corona, dipenderà molto dall’interesse che la sua incoronazione, intesa da un punto di vista comunicativo, susciterà nel pubblico inglese e internazionale. I funerali di Lady D fecero capire ai sociologi e al mondo intero che la televisione ha la potenza di creare una dimensione mediale da abitare: chiudere la propria attività commerciale per sintonizzarsi sulla diretta di un funerale, come accadde quel giorno a molti inglesi, rivelò che tra la dimensione fisica e quella mediale vi fosse una continuità oramai ineludibile. L’incoronazione di Carlo non sarà probabilmente rivelatrice di tendenze culturali nuove, sarà però un evento spettacolare, in cui i pubblici del mondo convergeranno simultaneamente in uno stesso luogo grazie ai loro schermi. In un tempo in cui l’immaginario è polverizzato in tante nicchie culturali, questo evento potrebbe essere uno dei pochi topos dell’immaginario collettivo contemporaneo».
Su quali linee programmatiche Carlo dovrà indirizzare il suo operato per essere un re nel solco della tradizione e anche rispondente alle nuove sfide globali?
«Le istituzioni, grazie ai propri apparati e a meccanismi di funzionamento oleati, sanno gestire in modo perfetto il conflitto tra conservazione e cambiamento, che le riguarda storicamente. Quindi, quello che potrà concretamente fare Carlo è operare nella direzione di una prudente modernizzazione della monarchia. Le sfide globali non sono affare della Corona, le prerogative reali sono oramai solo formali, di fatto il potere del Re è stato assorbito dal Primo Ministro. Quello che potrà fare Carlo è intervenire sull’ethos della Nazione grazie alla grande esposizione mediale di cui gode. Non è un aspetto di poco conto, sappiamo che oggi la comunicazione è politica, nel duplice senso che la comunicazione incide fortemente sulle vicende politiche, ma anche che la politica contempla la comunicazione come uno dei suoi principali piani di azione. Concorre a creare un sentire comune nel popolo inglese e potrebbe essere il ruolo di Re Carlo nell’immediato futuro».