ANCONA – Lo chiamano killer silenzioso, perché inodore, incolore e insapore. È il monossido di carbonio che ogni anno miete vittime. Domenica 12 febbraio – nelle Marche due famiglie sono rimaste intossicate dal monossido di carbonio: una ad Ancona e un’altra a Marotta. Nel primo caso si è trattato di un braciere acceso in casa per cucinare del cibo (in 5 sono finiti all’ospedale e successivamente al centro iperbarico di Ravenna, ma ora stanno bene); nel secondo caso, invece, per una fuga di monossido di carbonio da una stufa a pellet (in 7 sono finiti al pronto soccorso).
Ma come si sviluppano queste esalazioni che possono comportare un rischio per la vita? Lo abbiamo chiesto alla responsabile del pronto soccorso dell’Ospedale Salesi di Ancona, Elisabetta Fabiani. «Il monossido di carbonio si può sviluppare in seguito a una combustione incompleta negli impianti di riscaldamento domestico, nelle stufe a gas, a pellet, a legna, nei caminetti, nei bracieri, come anche dai veicoli a motore (ad esempio, le automobili se chiuse in un garage)» spiega. Il consiglio della dottoressa Fabiani è quello di areare spesso i locali anche in inverno, anche per qualche minuto.
Ma quali sono i sintomi a cui prestare attenzione? I campanelli d’allarme che devono spingere a chiamare i soccorsi? «I sintomi dipendono dal tempo di esposizione – spiega -: il monossido di carbonio si lega all’emoglobina al posto dell’ossigeno. L’ossido di carbonio si sostituisce all’ossigeno formando carbossiemoglobina, che non trasporta più l’ossigeno ai tessuti».
In caso di intossicazione lieve, spiega la dottoressa Fabiani, si possono avere mal di testa e malessere, mentre in caso di intossicazione più elevata si possono avere cefalea, disturbi gastrointestinali, come nausea e vomito, e disturbi neurologici come vertigini fino ad arrivare allo svenimento. Tra i sintomi possono comparire anche difficoltà respiratorie o dolore toracico. «In questi casi – spiega – bisogna aprire subito le finestre, allontanarsi dalla fonte di emissione e allertare il 118. Se non si interviene in tempo si rischia, perché l’aria saturata di gas produce danni ai tessuti».
Il rischio maggiore si corre durante il sonno perché non accorgendosi del malessere si può passare dal sonno al coma fino ad arrivare al decesso. Anche l’età ha il suo peso nell’evoluzione di una intossicazione da monossido di carbonio. «Le donne in gravidanza e i lattanti sono le categorie più a rischio – spiega -. La prima terapia con ossigeno l’avvia già il 118, poi in ospedale viene somministrato ossigeno al 100%, si esegue una emogasanalisi che consente di confermare l’avvenuta intossicazione da monossido di carbonio e la concentrazione della carbossiemoglobina nel sangue. Viene eseguita anche una valutazione metabolica, della funzionalità renale e cardiaca, perché il monossido di carbonio può impattare producendo danni anche a questi organi. Nei casi di intossicazione più importante si ricorre alla terapia iperbarica, con ossigeno ad elevata pressione».