ANCONA -Vanta origini marchigiane ed è uno dei massimi esperti di neurochirurgia a livello internazionale. Stiamo parlando di Fred Gentili, direttore della Neurochirurgia dell’Università di Toronto. Nativo di Sarnano il professor Gentili è emigrato in Canada con la sua famiglia all’età di quattro anni. Un paese che come spiega lui stesso lo ha «accolto calorosamente», offrendogli quelle possibilità di studio che lo hanno portato a divenire un luminare nel suo campo. Ma l’Italia gli è rimasta nel cuore così come le Marche, con le quali mantiene uno stretto rapporto. Qui torna spesso, per trascorrere le vacanze a Sarnano, nella casa di famiglia che sta ristrutturando dopo il sisma, ma anche per tenere lezioni agli specializzandi dell’università Politecnica delle Marche, grazie alla profonda amicizia che lo lega al professor Massimo Scerrati, direttore della Neurochirurgia universitaria di Ancona.
Professor Gentili, in un confronto tra Sistema Sanitario Italiano e Canadese, quali sono i punti di forza e di debolezza del “bel paese”?
«Italia e Canada hanno sostanzialmente la stessa organizzazione strutturale, perché in entrambi i paesi il sistema sanitario è pubblico. L’Italia può contare su neurochirurghi estremamente qualificati, mentre il problema principale è attualmente rappresentato dalle risorse troppo esigue, che non consentono un progresso tecnologico al passo con gli altri paesi che hanno maggiori possibilità di investimento. Uno dei problemi da affrontare a mio giudizio può essere una migliore razionalizzazione delle risorse disponibili sul territorio, concentrandole nelle strutture di riferimento in grado di garantire prestazioni di eccellenza».
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat nel 2016 l’Italia ha perso circa 100mila “cervelli”, quasi il doppio rispetto alla stima del 2012. Lei come vede la situazione?
«Nella mia Università ogni anno vengono bandite 30 borse di studio per gli studenti stranieri e molti di loro sono italiani, e sono i più bravi, tutti ragazzi “top level” con una grande preparazione alle spalle. Ed è proprio per questo motivo che le università straniere tendono ad accaparrarseli. L’Italia investe molto in formazione, ma poi non ha le risorse per offrire un lavoro a questi ragazzi che quindi finiscono per scegliere di rimanere all’estero, dove trovano delle prospettive concrete per il loro futuro. Nell’ambito di una cooperazione tra paesi occorre favorire il ritorno in patria dei giovani che si perfezionano all’estero, è necessario riconsiderare le strategie dal punto di vista politico».
Professore un’ultima domanda, quali sono le nuove frontiere nella neurochirurgia?
«La sfida è quella di coniugare tecniche sempre più efficaci e sicure, capaci cioè di garantire il miglior risultato chirurgico con il minor rischio di compromissione della funzione nervosa. Oggi l’endoscopia ad esempio, associata alla microchirurgia, ai monitoraggi funzionali intraoperatori e a sofisticate procedure di localizzazione intraoperatoria, permette di raggiungere questo obiettivo, ma per sviluppare questo tipo di tecnologia servono investimenti dedicati, di cui non tutte le strutture possono dotarsi. Ecco perché è importante, specie nella neurochirurgia, accentrare la tecnologia in strutture di primo livello come ad esempio l’Ospedale Regionale di Torrette, che è una struttura di altissima specializzazione e con grandi potenzialità».