OSIMO – L’attrice osimana Romina Antonelli sarà protagonista questa sera (ore 21 al Teatro La Nuova Fenice con ingresso gratuito) dello spettacolo “S’io fossi tutte le donne”, una serata tra arte e riflessioni dedicata al mondo femminile e alle sue problematiche contemporanee, organizzata in occasione della ricorrenza dell’8 Marzo dalla consulta Pari Opportunità del Comune di Osimo, insieme a Cgil Cisl e Uil, Auser e Snoq.
Per Romina Antonelli, dopo il successo televisivo a Zelig Off su Italia Uno e Quanto Manca su Raidue, si tratta di un ritorno nella sua Osimo con uno spettacolo che ricorderà sia le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, sia le discriminazioni di cui sono state e sono tuttora oggetto.
«Mi fa molto piacere tornare alla Nuova Fenice – spiega l’attrice osimana – in uno dei teatri più belli delle Marche, dove da giovanissima avevo cominciato facendo la maschera e ora torno per esibirmi sul palcoscenico».
Che spettacolo sarà quello che porti in scena stasera?
«Farò una lettura scenica che toccherà diversi temi, principalmente quello del lavoro femminile che sarà affrontato a 360 gradi con cenni storici e anche statici sui divari salariali di genere, per poi spaziare su altri argomenti come l’emancipazione femminile, la morale sessuale, il diritto di voto e i rapporti di coppia».
Nonostante le conquiste, la violenza sulle donne è ancora una piaga sociale…
«I fatti di cronaca si susseguono, ormai sono all’ordine del giorno e la cosa fa un paura, anche perché quel che accade porta angoscia e chiusura nei confronti dell’altro sesso. Sicuramente c’è una parte del mondo maschile che non riesce ad adattarsi ad un nuovo ruolo della donna, eppure dovrebbe comprenderne anche i lati positivi, che ci sono, nel condividere ad esempio la gestione della famiglia e dei figli, nel fatto di avere al suo fianco una compagna con cui può dividere pesi e responsabilità».
Il teatro può avere in questo contesto una sua funzione sociale?
«Il teatro è ancora uno dei pochi spazi di vera libertà che ci rimangono. Nessuno qui profila le tue tendenze ed opinioni, lo spettatore è una persona libera di manifestare anche il suo non gradimento. Si tratta di un’esperienza diretta e non mediata, dove condividere emozioni spontanee, dove entrare in empatia. Un rito collettivo che si giova della partecipazione attiva. Questo secondo me è l’aspetto più importante ancora prima del contenuto. Il teatro ci dà la possibilità di disconnetterci dalla realtà virtuale, di spegnere i telefonini e riconnettere le persone mettendole in relazione le une con le altre. Questo è il suo significato base secondo me: la funzione di aggregazione sociale che si sta ormai perdendo».
In un’epoca di piazze digitali vedi una carenza di spazi fisici di aggregazione?
«Ma gli spazi secondo me non mancano soprattutto se parliamo delle Marche che sono la regione dei 100 teatri, ricca di teatri e teatrini storici, le cosiddette bomboniere di cui è disseminato il nostro territorio. La lacuna che noto è la mancanza di una visione organica e della cosiddetta progettazione a lungo termine. A cosa serve lo spettacolo dal vivo e che funzione può avere? Rispondendo a questa domanda si può fare una progettazione. Il teatro per l’infanzia ad esempio è fondamentale ed è forse il settore più importante di tutti. A me piacerebbe che si concepisse questa Regione, che tutta quanta fa gli abitanti di Milano, come un’unica area culturale a livello di progettazione. Bisogna fare rete, ampliare il proprio bacino di utenza».
Quali saranno i tuoi prossimi progetti?
«Girerò diverse città con il mio monologo Dissociata. One Man Show. Venerdì 16 marzo sarò al Boccascena di Castelfidardo, il 7 aprile al Galleria Centofiorini di Civitanova Marche e il 29 aprile all’Hemingway Cafè di Jesi. E’ un monologo tragicomico che ho scritto personalmente basandomi sulla definizione che mi diede un mio insegnante del Teatro Stabile delle Marche».