ANCONA – Marche al decimo posto nella classifica Save the Children per quanto riguarda l’indice delle madri relativo alle regioni amiche delle mamme e al quinto posto nella dimensione lavoro. Emerge dal report ‘Le Equilibriste’. In testa alla classifica delle regioni più amiche delle mamme ci sono la Provincia autonoma di Bolzano, seguita da Emilia Romagna e Valle D’Aosta, mentre fanalino di coda è la Basilicata preceduta da Sicilia, Campania Calabria e Puglia.
Nel rapporto, che analizza 14 indicatori relativi a 7 aree (demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva), per quanto riguarda l’area demografia, tra le regioni più virtuose ci sono la Provincia Autonoma di Bolzano e quella di Trento, seguite da Sicilia, Campania e Calabria, mentre in fondo alla classifica, Sardegna, Basilicata, Molise e Umbria. Le Marche si piazzano in questa area al 17esimo posto e al 13esimo posto per quanto riguarda i servizi offerti per la prima infanzia.
«Il rapporto di Save the Children ci vede nella parte bassa della classifica – dice Loredana Longhin, segretaria regionale Cgil Marche – . Le donne marchigiane fanno pochi figli e per servizi dedicati all’infanzia ci troviamo nella parte della classifica in cui si trovano le regioni del Sud Italia. Un quadro preoccupante, quello tracciato dall’indagine, che manifesta diverse criticità che è tempo di risolvere».
Secondo la sindacalista, per risolvere il problema delle ‘culle vuote’ servono investimenti in politiche sociali. «Le donne che fanno figli hanno bisogno di servizi all’infanzia, con orari adeguati e costi adeguati, «non si può pensare di tenere aperto un asilo nido fino alle 16 se una donna magari lavora fino alle 18 o alle 19, e non si può pensare di far costare questi servizi quasi come uno stipendio percepito dalla donna, perché altrimenti le donne non sono in condizione di lavorare e alla fine decidono di non fare figli».
Longhin evidenzia infatti che «le Marche sono tra le regioni italiane in cui c’è la maggiore compartecipazione da parte delle famiglie alla spesa per i nidi, un 20,8% circa, un valore simile a quello della Basilicata. L’altro tema è quello del precariato che affigge le donne le quali senza una occupazione stabile vedono la maternità più come un miraggio. «Se la donna lavora stabilmente e non part-time aumenta anche la produttività – spiega – ma servono investimenti forti in questa direzione».
Il rischio, osserva, «è che le Marche vadano incontro a un sempre maggiore invecchiamento della popolazione. Bisogna cambiare approccio – conclude – perché il problema della denatalità è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che nasce da un problema strutturale che va rimosso».