ANCONA – È già dibattito aperto dopo le indiscrezioni circolate in questi giorni sulla possibilità che il governo Draghi possa optare per l’allungamento dell’anno scolastico fino a fine giugno per consentire agli studenti di “recuperare” i periodi in dad. Una ipotesi che ha subito suscitato prese di posizione molto forti e che a presidi, docenti e studenti stessi non piace affatto.
È giusto precisare che i contorni della situazione sono ovviamente ancora incerti e che per ora si tratta di una linea di possibile indirizzo emersa da indiscrezioni dopo le consultazioni del presidente incaricato Mario Draghi con i partiti. Indiscrezioni dalle quali sarebbe emersa anche una volontà di valutare una ripresa in anticipo delle lezioni, già ai primi di settembre, e di avere già per quella data più professori in cattedra.
Se da un lato si dice «sorpreso per l’attenzione riservata al mondo della scuola», Riccardo Rossini, presidente regionale dell’Anpi, l’associazione dei presidi italiani, rivela di essere «scettico sulla possibilità che il prolungamento delle lezioni» possa realmente concretizzarsi. Secondo il preside infatti innanzitutto c’è da mettere in conto gli esami di maturità, oltre che di terza media, che si tengono da metà giugno e che vedono una parte del corpo docente impegnato nelle commissioni.
Ma a non convincere il presidente dei presidi marchigiani è anche il fatto che in questo modo «non si rende giustizia alla fatica e allo sforzo compiuti da docenti e studenti per organizzare e seguire le lezioni a distanza». Uno sforzo «enorme», che secondo Rossini va invece riconosciuto anche perché, come evidenzia dalla fase valutativa in corso, relativa al primo quadrimestre, «non emergono risultati o una formazione inferiore rispetto agli altri anni», mentre «le difficoltà» hanno riguardato l’ambito della socializzazione e delle relazioni «che sono venute a mancare durante la dad». Inoltre evidenzia che il prolungamento dell’anno scolastico «metterebbe in crisi l’organizzazione» anche di quello successivo e obbligherebbe gli studenti «a stare a scuola nei periodi più caldi dell’anno» senza considerare la necessità dei ragazzi di poter godere «del meritato svago».
Critico anche il Comitato Priorità alla Scuola, da mesi in prima linea contro la dad, con Livia Accorroni che evidenzia che definire la didattica a distanza tempo perso significa «svilire e delegittimare quanto dirigenti, insegnanti, studenti e studentesse hanno messo a disposizione e speso durante questo secondo anno scolastico di travaglio» dovuto alla pandemia di covid-19. Se sul primo momento la notizia «ha un po’ sorpreso ed anche diviso, con chi, tra gli insegnanti, diceva è “impossibile, ormai è troppo tardi, i ragazzi sono stanchi, noi siamo stanchi, non si può” e chi tra i genitori diceva “era ora, è giusto, hanno perso tanti giorni, la pausa estiva dura troppo”», fatte tutte queste valutazioni e dopo aver ascoltato il seminario nazionale di autoformazione sulla riscrittura del “Recovery Plan” ora a predominare è il no a questa ipotesi.
Livia Accorroni spiega che si tratta, secondo il Comitato, di una affermazione «”buttata lì”» che però ha il solo esito di «dividere la comunità educante che in questo momento è molto provata, mentre ciò che serve davvero è indirizzare i fondi del Recovery sulla scuola per “rifondarla”: più personale docente e Ata, più personale tecnico e amministrativo, più spazi e quindi edilizia scolastica (mettere in sicurezza edifici, costruirne di nuovi o ristrutturarne di inutilizzati), per chiudere con le classi pollaio. Serve una pedagogia migliore, basata anche su un rapporto docente-alunno più favorevole e, ovviamente, è necessario lavorare anche alla riscrittura del calendario scolastico annuale, che, così com’è scontenta molti ed è antistorico».
Secondo il Comitato, che raccoglie docenti, genitori e studenti, rimodulare il calendario scolastico in questa fase già avanzata dell’anno in corso «è semplicemente grottesco e irrispettoso del lavoro profuso da tutti e tutti coloro che hanno permesso di tenerlo in piedi; significherebbe chiedere l’ennesima riorganizzazione della scuola nel giro di pochi mesi, o meglio poche settimane».
Solo con «nuove assunzioni, stabilizzazione del personale e puntando sull’edilizia scolastica – conclude -, è possibile modificare il calendario scolastico, magari estendendo il tempo pieno a tutte le scuole dei primi cicli di studi e prevedendo pause (vacanze) più brevi distribuite nel corso dell’anno solare, come avviene in altri Paesi europei».
Parere negativo anche dalla pedagogista, ex preside di scuola primaria e scrittrice di testi sul bullismo per bambini, Annunziata Brandoni. La pedagogista fa notare che si tratta di iniziative che «stanno ad indicare che non si conosce come i bambini apprendono» e fa notare che «con il caldo non si concentrerebbero». Inoltre osserva che «le scuole non sono attrezzate per fare lezione in estate e in questo modo si darebbe un brutto colpo ai centri estivi» già provati dalle chiusure.
«I bambini e i ragazzi hanno bisogno di stare all’aperto e muoversi, non di stare rinchiusi in un’aula – spiega – , all’aperto con gli educatori dei centri imparano di più che a scuola. Si pensa ancora alla lezione di tipo trasmissivo, mentre le scienze dell’educazione e le stesse Indicazioni nazionali parlano di autoapprendimento, personalizzazione dei percorsi, outdoor education: opportunità che offrono i centri estivi ben organizzati, per questo si dovrebbe valutarne il potenziamento».
«Ne abbiamo parlato in classe tra noi e con i docenti – afferma Carlo Sdogani studente del Liceo Classico Rinaldini – , ma ci è sembrata una ipotesi remota e molto difficile da attuare perché significherebbe risolvere in pochissimi mesi tutti i problemi strutturali della scuola, dai precari al numero delle classi». A questo lo studente aggiunge il niente affatto trascurabile «problema di attenzione» visto che il periodo estivo è solitamente dedicato al riposo dopo l’impegno di un intero anno scolastico, ma a non convincere è soprattutto il fatto che «con la didattica a distanza un programma lo abbiamo portato avanti, per cui significherebbe non restituire il tempo, ma aumentarlo».
Il liceale avrebbe visto maggiormente di buon occhio aggiungere ulteriore tempo scolastico «per svolgere attività extra curriculari, come le gite di istruzione e i progetti extra scolastici che non sono state fatti» durante l’anno a causa della pandemia. A tutto ciò aggiunge poi il problema che «per i ragazzi che fanno il quinto anno come me vorrebbe dire aggiungere altro tempo, senza lasciarne il necessario per prepararsi all’esame e quindi conseguentemente non lasciare neanche tempo per prepararsi al test universitario».