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Quando la medicina si oppone all’esercizio sadico del potere: le attività del Dipartimento di Salute Mentale

Lo psichiatra Massimo Mari racconta le nuove iniziative curate dalla sua equipe. In primis un progetto che gestisce gruppi multifamiliari nel quartiere San Giuseppe di Jesi, da molti ritenuto problematico e a rischio di emarginazione e microcriminalità

Lo psichiatra Massimo Mari

JESI – L’autrice Fabrizia Ramondino scriveva così nel suo libro “Passaggio a Trieste”, sul confine salute-malattia: “Non è un equilibrio facile, è piuttosto un gioco su una corda acrobatica tra misura e dismisura”. Era il 1998, ventennale dalla legge 180, e si sentiva ancora l’influenza della rivoluzione di Franco Basaglia. La salute mentale era un concetto rimesso in discussione, ma soprattutto non sembrava più utopia. E “malattia” era solo una vuota definizione.

Oggi, nelle Marche, solo il 2,1% dei fondi della Sanità vengono destinati alla salute mentale. Della sua idea di malattia, di sistema sanitario e di agire concreto ci parla Massimo Mari, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asur Area Vasta 2.

Dottor Mari, il confine salute-malattia è davvero netto o è labile?
«Nelle culture occidentali la mente è staccata dal corpo. Scindiamo l’anima dal corpo e la salute dalla malattia. È una dimensione di tranquillizzazione rispetto alla complessità, un modo per dire “io so”. In realtà non sappiamo molto: la persona cambia, non è una dimensione rigida: l’attenzione deve stare nel cogliere la continuità tra gli enormi cambiamenti che conosciamo nell’arco della vita».

Quando si può dire di essere “sani”?
«La salute non sta nel non avere malattie, ma nell’avercele tutte: sei isterico quando vai in discoteca, ossessivo quando studi, paranoico quando sei in guerra, borderline magari sul lavoro. Sono difese psicologiche. E l’individuo sano, o che abbia un po’ d’esperienza di vita, le sa utilizzare in maniera pertinente in base al contesto in cui è inserito. Con flessibilità».

Come lavora l’equipe medica rispetto alla salute mentale?
«Nel lavoro di equipe, quando si formula una diagnosi, è fondamentale la dimensione poliedrica (anziché sferica): ognuno esprime un parere in modo differente. Il fatto di avere idee diverse è molto più di qualità. Il problema grosso emerge quando in un team tutti hanno la stessa opinione rispetto a un paziente, e quindi viene a prevalere la dimensione autistica».

Quali attività vengono organizzate dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Asur AV2?
«Importante è il circuito “Malati di niente”, guidato da Gilberto Maiolatesi, che usa le arti come strumento socioriabilitativo, mirando anche al reinserimento lavorativo. Dà inoltre attenzione al tema della salute mentale attraverso conferenze e dibattiti.
Proprio in questi mesi stiamo facendo partire un progetto multifamiliare nel quartiere di San Giuseppe, sempre con Maiolatesi e Marzia Pennisi. Il fine è quello di non ghettizzare, di trattare il disagio in modo integrato».

A suo parere la Sanità è un sistema di potere?
«C’è differenza tra “potere” e “potenza”. “Potere” significa obbedire senza possibilità di replica. Studiare insieme per realizzare interventi per la nostra comunità è invece “potenza”. Io non ho nulla contro la potenza, molto contro l’esercizio sadico del potere».

Nel concreto come si manifesta “l’esercizio sadico del potere”?
«La dimensione sadica dell’esistenza equivale in maniera totale con l’idea che debbano vincere i più forti. E i più forti, per definirsi, hanno bisogno dell’invidia dell’altro. Ma questo li porta a non esistere da soli: i forti finiscono per avere bisogno del povero che li invidi. Se lo schiavo non esiste, non esiste nemmeno il padrone».

In Sanità come si traduce questo “sistema”?
«Nella Sanità lo spirito della legge n. 833 del 23 dicembre 1978, all’interno di una dimensione politica di quegli anni, fu estremamente all’avanguardia a livello mondiale. Considerava la salute un diritto per tutti. E lo Stato era l’assicurazione della salute del cittadino. Poi però gli amministratori di questo percorso non furono i creatori dello stesso, prevalse un sistema liberale.
Tuttavia, il nostro sistema sanitario italiano resta il migliore in Europa rispetto al rapporto qualità-prezzo. In altre realtà invece, come quella statunitense, la salute diventa una merce da comprare».

E in quanto a budget? è la nota dolente?
«Qui sta il problema del potere: la Sanità italiana riserva alla salute mentale solo il 5 per cento del budget. Ma si sa che senza salute mentale non c’è salute. L’Inghilterra investe il 12,5 per cento, nel nord-Europa siamo intorno al 15-20. Noi italiani per legge abbiamo 7-8 operatori ogni 10000 abitanti, mentre in Finlandia ne hanno 40. C’è poi la gestione regionale: Trieste e Bolzano spendono il 6 per cento per la salute mentale, l’Emilia Romagna il 5, le Marche solo il 2,1. Si tratta della percentuale più bassa a livello nazionale, comprese anche le cliniche private. La sanità e la scuola restano un esempio e uno specchio della qualità della politica».