Era il 1989 e la notte di Natale, in quella piccola frazione sulle pendici dei Sibillini, avvenne un miracolo vero, tangibile e ancora oggi verificabile.
Avevo tredici anni, un fratello gemello e un padre rompiscatole, cronista sempre incacchiato. Il 24 dicembre, prima di tornare a casa felici per le vacanze, io e il clone passammo a salutare babbo nella redazione del quotidiano dove lavorava. Già da fuori si udivano i suoi sbraiti. «Ciao ba’, ceniamo insieme?» chiedemmo. «Non lo so, ma alle 22 e 30 si parte per andare tutti alla messa di mezzanotte in un altro paese». Ecco, sarebbe stato meglio non passare a salutarlo. Era un ordine strano, lui non andava mai a messa. Alle 21 tornò a casa e cenammo insieme, una rarità assoluta, e pretendemmo che ci spiegasse il motivo di quell’ordine perentorio.
Disse che alcuni giorni prima era arrivato in redazione un prete strano, alto e massiccio con la tonaca impolverata, un po’ sdrucita e stretta da una grossa cinghia. Era arrabbiato. Chiese di mio padre, e gli disse tutto d’un fiato: «Sono un prete di campagna ma leggo il giornale e tu sei il giornalista giusto. Mi devi aiutare a non fare due pazzie, bastonare il vescovo (in termini scherzosi, ndr) e qualcuno della Regione». Babbo trattenne a stento la risata e lo fece accomodare, gli offrì un caffè e gli chiese di parlare con calma.
«Vedi, la chiesa nostra è spaccata a metà da dieci anni, dal terremoto del ’79. Il parroco che c’era prima se n’è andato sfinito, io vengo dal Belgio e non sono pratico con la burocrazia. Ho chiesto udienza al vescovo, al sindaco, a un consigliere provinciale e ho inviato una petizione alla Regione. Niente, tante promesse ma la chiesa è sempre spaccata. Allora, ho deciso che il 24 celebrerò la messa di mezzanotte all’aperto, proprio davanti la chiesa».
Era grande e grosso quel prete, aveva due mani da spaccalegna e modi molto spicci e diretti. «Certo che sarà freddo, ma ho detto ai parrocchiani di coprirsi bene. E poi, se mi vuoi dare una mano fallo, altrimenti fai come vuoi e va al diavolo anche tu» concluse il parroco prima di andarsene in un batter d’occhio e tornarsene a Castellaro, frazione di Serra San Quirico.
Per tre giorni di seguito mio padre raccontò sul giornale la vicenda del prete e della sua chiesa spaccata, e sfidò politici e amministratori a partecipare di persona a quella messa di mezzanotte.
Eravamo convinti che nessuno sarebbe stato tanto matto come il prete e babbo, invece quell’ampio piazzale davanti la chiesa rovinata era già colmo di persone silenziose, incappucciate, infagottate e infreddolite alle 23 della notte di Natale. Babbo ci disse che c’erano anche personaggi politici regionali, mischiati tra gente comune, contadini, pastori, operai e impiegati pendolari.
La tramontana sferzava lateralmente quello spazio aperto e fu una vera gara di resistenza. Poi il vento nordico cessò, e mentre il parroco distribuiva le ostie, iniziò a nevicare lentamente con l’aria che si addolciva. L’altare allestito con delle casse dell’uva rivestite da tovaglie fissate con i chiodi, era illuminato alla meglio da due lampade d’emergenza. Uno spettacolo incredibile con i fiocchi di neve che sembrava giocassero con la luce. Vidi babbo farsi uno sgangherato segno di croce e stringere a sé mamma e noi due semi-assiderati.
Nessuno partì prima della benedizione del prete. Non ci furono castagne arrostite e vin brulé, se ne andarono tutti in fretta, mezzi congelati, e con auguri appena sussurrati.
Il mese dopo quel prete tornò da mio padre, gli fece vedere la delibera regionale che finanziava il restauro della chiesa. «Certo che anche tu sei matto come me, ma è stato un vero miracolo di Natale» disse l’imponente prete, commosso, abbracciando babbo.