ANCONA – Il colpo di pistola non è stato sparato a bruciapelo ma chi lo ha esploso «mirava a un bersaglio grosso, con l’intento di uccidere». Così il medico legale Raffaele Giorgetti ieri ha relazionato in aula, per l’omicidio di Roncitelli, avvenuto nella frazione senigalliese il 29 marzo, davanti alla Corte di Assise dove è entrato nel vivo il processo a carico di Loris Pasquini. Il 72enne uccise il figlio Alfredo, 26 anni, con un colpo di pistola dopo una discussione ed è imputato di omicidio volontario aggravato e possesso abusivo di arma.
Il professionista, rispondendo alle domande del pm Paolo Gubinelli, ha chiarito che il colpo di pistola è stato esploso ad una distanza di circa 40 centimetri. Ieri è stato sentito dalla Corte anche un carabiniere del Norm di Senigallia che si è occupato delle indagini. Nell’abitazione di via Sant’Antonio, quando fu perquisita, trovò un arsenale tra proiettili per fucili, polvere da sparo, munizioni varie per armi comuni oltre che da caccia e che Pasquini padre non era autorizzato a tenere. Due dottoresse del reparto di psichiatria di Senigallia, che hanno avuto in cura Alfredo Pasquini in periodi diversi, dal 2013 al giorno della morte, hanno riferito come c’era conflittualità tra padre e figlio e problemi per gestirlo da parte del padre che si è rivolto al loro servizio per chiedere di intervenire. In aula ieri anche la moglie attuale dell’omicida, thailandese. «Quel pomeriggio ho visto Alfredo colpire il padre con un bastone – ha detto la donna che in tribunale si è avvalsa di un traduttore – poi mi sono allontanata e ho sentito solo lo sparo. L’imputato le avrebbe detto «non è successo niente, vai dalle capre». Prossima udienza il 14 gennaio.