OSIMO – Il Comune di Osimo ha acquistato all’asta due lotti adiacenti in via Saragat, a Campocavallo, dove realizzare il futuro Museo del Covo e della civiltà contadina. Per acquisire i due terreni, rispettivamente di mille e 458 metri quadri e di 693, il Comune spenderà 73mila e 368 euro. Con questo passaggio, indispensabile per arrivare all’obiettivo di valorizzare una eccellenza osimana come la tradizione del Covo, l’amministrazione comunale potrà affidare ora l’incarico per il progetto definitivo ed esecutivo. Per il nuovo Museo del Covo è prevista già a bilancio una spesa di 974mila euro, di cui la metà cofinanziata dalla Regione. Il progetto preliminare proposto dalla Fi.Ma., già approvato in Consiglio comunale a inizio estate, prevede una struttura di 830 metri quadri formata da un corpo centrale dedicato al padiglione espositivo, cui si aggiunge una parte destinata a sala conferenze e sedi di associazioni. Oltre ad ospitare un museo permanente sulla storia della civiltà contadina della Valmusone, il Museo di via Saragat vedrà esposte le diverse opere del Covo dei Maestri di Campocavallo, chiese e santuari in scala realizzati con spighe di grano. Una tradizione che si rinnova dal 1840 come segno di ringraziamento per il raccolto di grano. Il progetto dovrà considerare i principi di sostenibilità ambientale, con l’uso di energia elettrica da fonti rinnovabili e l’utilizzo del verde anche in copertura. Prevista inoltre la realizzazione di 50 nuovi parcheggi e la piantumazione all’esterno di una ventina di elementi arborei.
La storia
Il covo, espressione della cultura contadina che caratterizza tutto il territorio comunale di Osimo e dei comuni vicini, è un carro che presenta sempre una costruzione realizzata interamente con spighe di grano dai contadini del luogo. Ogni anno viene realizzato un covo differente, che rappresenta sempre una nuova immagine religiosa (chiese, santuari, luoghi di culto). La festa dura sempre due o tre giorni, ad agosto, durante i quali si susseguono ogni sera eventi musicali, teatrali, artistici e gastronomici, e culmina con la processione religiosa del covo che si snoda per le vie di Campocavallo all’ombra del Santuario della Beata Vergine Addolorata cui è consacrato il covo. L’idea fu concepita da Clemente Ciavattini, un anziano contadino di Campocavallo, che decise di dar vita al progetto con l’aiuto dei suoi figli Basilio, Cesare, Isidoro, Vincenzo e Marino e di altri agricoltori della zona, tra cui Enrico Gatto e Giulio Alessandrini. Alla realizzazione dell’evento parteciparono anche le donne delle loro famiglie. Ciavattini volle realizzare nella sua casa colonica il primo covo, che si decise dovesse rappresentare la Corona dell’Incoronazione, già posta nel santuario di Campocavallo, dove si venerava la Beata Vergine Addolorata dal 1892. Chiamò don Carlo Grillantini ed Elmo Cappannari a dargli una mano per lo schizzo dell’immagine della Corona. Poi Ciavattini e suo figlio Basilio, assieme a Giulio Pettinari e ad Enrico e Nazzareno Gatto, costruirono lo scheletro in legno. Sostenuti dal vescovo e da don Carlo Grillantini, i contadini ufficializzarono la festa con un avviso sacro del 5 agosto 1939. Così la Corona, realizzata intrecciando spighe di grano sullo scheletro in legno, fu portata in processione in onore della Vergine Addolorata come offerta di ringraziamento per la prosperosità dei raccolti e benedetta dal parroco locale Ludovico Amadini.