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Parità donna-uomo, convegno in Questura

Si è tenuto stamane un incontro sulle “Pari Opportunità” promosso dalle rappresentanze delle sigle sindacali CGIL, CISL e UIL. Presenti il Questore di Ancona, Oreste Capocasa e la Consigliera di Parità della Provincia di Ancona Pina Ferraro Fazio, oltre alle relatrici delle sigle sindacali

Il Questore di Ancona Oreste Capocasa
Il Questore di Ancona Oreste Capocasa

ANCONA – Era il 9 dicembre del 1977 quando il Parlamento Italiano approvava la legge 903 sulla parità di trattamento tra uomo e donna nel mondo del lavoro. La cosiddetta Legge Anselmi ha segnato lo spartiacque nell’ambito della legislatura italiana, vietando ogni discriminazione di genere per l’accesso a qualsiasi tipologia di lavoro. Da allora è trascorso del tempo, ma la parità è ancora un traguardo da raggiungere.

Nonostante i progressi fatti in tal senso, che vedono una maggiore partecipazione femminile nei ruoli apicali rispetto al passato, non c’è ancora una parità né salariale né di cariche tra uomo e donna.

Di questo si è parlato stamane in Questura ad Ancona, nel corso di un incontro sulle “Pari Opportunità” promosso dalla Questura e dalle rappresentanze delle sigle sindacali CGIL, CISL e UIL.

All’incontro ha partecipato il Questore di Ancona Oreste Capocasa, mentre tutto al femminile il tavolo dei relatori, che ha visto la presenza della Consigliera Provinciale di Parità Pina Ferraro Fazio, la giornalista Martina Marinangeli nel ruolo di moderatrice, Consigliera Regionale Pari Opportunità CISL Marche Marilena Romano, la Segretaria Generale CGIL FLC Tiziana Mosca, la Responsabile del Centro Mobbing e Stalking UIL Marche Marina Marozzi.

Una giornata di riflessione sul tema della parità di genere e sul contrasto ad ogni tipo di discriminazione nei luoghi di lavoro.
Una questione, che come è stato sottolineato dalle relatrici, riguarda le donne, ma non solo: infatti anche se in misura minore interessa una parte del mondo maschile.

Il Questore Oreste Capocasa, nel corso del suo intervento, ha evidenziato come la Questura di Ancona sia sempre stata molto attenta alla questione della parità tra donna e uomo, e che nel tempo sia divenuta un esempio e un punto di riferimento anche per la collaborazione e la «dialettica esemplare, istituita con il mondo femminile, e che ha portato alla crescita culturale di questa realtà istituzionale».

Un ambito, quello della parità nel quale molti progressi sono stati compiuti, ma altrettanti traguardi devono ancora essere raggiunti, facendo attenzione a mantenere le tutele conquistate in tanti anni di dure lotte femminili. E proprio in tal senso si è inserito l’intervento della  consigliera di parità della Provincia di Ancona, Pina Ferraro Fazio, secondo la quale «stiamo tornando indietro su tanti diritti che sembravano acquisiti». La consigliera ha richiamato l’attenzione sulla necessità di non mollare la presa sulla parità di genere, lavorando in rete per acquisire nuovi diritti e superare gli stereotipi culturali, sociali, storici e politici che ancora vorrebbero confinare la donna a ruoli marginali.

Una figura, quella della consigliera di parità istituita in Italia con la Legge 125 del 1991, per garantire pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori. Nominata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, svolge la sua attività sia in ambito provinciale, che in ambito regionale e nazionale, per garantire che le normative in tema di pari opportunità e parità di genere vengano attuate, nell’ambito del mondo del lavoro, ma anche intrafamiliare, con un’attenzione particolare alla condizione femminile, ancora lontana dalla piena parità. In questo senso la consigliera di parità può intraprendere ogni possibile iniziativa ed azione, rispetto alle competenze dello Stato in materia, anche con la possibilità di richiedere controlli e sanzioni da parte dell’Ispettorato del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail, per eliminare situazioni di discriminazione e squilibrio di genere.

Un compito svolto gratuitamente dalla consigliera, che da oltre 20 anni è in prima linea nella lotta per il rispetto dei diritti delle donne e delle fasce di popolazione più debole. «Fino al 1975 – ha sottolineato la Fazio – la donna contraendo matrimonio doveva sottostare alla potestà del coniuge, il quale poteva educarla e correggerla anche attraverso mezzi fisici.  Nel tempo le leggi sono cambiate, ma la cultura ci mette più tempo per cambiare, perché fatica ad oltrepassare certi steccati culturali». E la storia è piena di discriminazioni, come ha ricordato la consigliera di parità: alla fine degli anni ’60 le donne facevano fatica ad entrare nella magistratura perché sopravvivevano ancora molti stereotipi culturali come quello secondo il quale, le donne nei giorni del ciclo mestruale, non erano in grado di svolgere certi lavori. Convinzioni dettate da “preconcetti, pregiudizi e ignoranza atavica”.

E nel suo ufficio di Ancona, il maggior numero di richieste nell’ambito delle discriminazioni sul posto di lavoro, arrivano nel 98% dei casi da donne, quasi tutte nel periodo della maternità.
A causa della crisi economica le donne sono ancora più penalizzate rispetto al passato e spesso devono rinunciare al lavoro perché non riescono a conciliarlo con le esigenze della famiglia.

Tra le armi che la consigliera ha a disposizione per risolvere le discriminazioni, la conciliazione e l’intervento “ad adiuvantum” , ossia la consigliera che si costituisce a supporto della vittima di discriminazioni davanti al giudice del lavoro. «Le pari opportunità, spesso non vengono applicate anche perché non esiste un apparato sanzionatorio – ha concluso la Fazio – ma ognuno di noi può innalzare soglia di attenzione sui diritti, perché l’abbassamento delle tutele di una parte significa distruggere tutto ciò su cui abbiamo basato il mondo civile, ed è pertanto responsabilità di ogni lavoratore e lavoratrice, alzare livello di dignità di chi lavora».

La discriminazione di genere è riemersa prepotentemente con la crisi economica, gli stipendi non sono ancora equiparati a quelli maschili e deve ancora essere garantita la quota rosa in molto ambiti. Ma il posto di lavoro oltre ad essere un obiettivo spesso da raggiungere, può diventare anche un luogo malsano dove le donne possono arrivare a subire molestie da superiori, colleghi di lavoro o clienti.  Nelle Marche i dati Istat rielaborati dalla CGIL, descrivono un quadro preoccupante: 183 mila sono le donne marchigiane che hanno subito molestie e ricatti, delle quali quasi 41 mila sul luogo di lavoro, 15 mila solo negli ultimi tre anni.  «Sono dati che dimostrano – ha commentato Tiziana Mosca, Segretaria Generale CGIL FLC  – che c’è un numero ancora molto elevato di donne molestate. Ma si tratta solo della punta dell’iceberg, perché chi subisce questo tipo di molestie spesso non parla, non denuncia per timore di esporsi e di avere conseguenze peggiori» Un dato sottostimato che dimostra l’arretratezza  culturale, «sulla quale dobbiamo lavorare molto da questo punto di vista».

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Le molestie avvengono in diversi modi: attraverso richieste esplicite o implicite di contatti fisici inopportuni o indesiderati, gesti, ammiccamenti, messaggi, apprezzamenti verbali sul corpo e la sessualità o sull’orientamento sessuale. Spesso si accompagna la promessa di agevolazioni, privilegi, avanzamenti di carriera in cambio di prestazioni e nei casi più eclatanti minacce e ritorsioni per aver respinto le avance. Le donne, le vittime più frequenti, e solo rari i casi di uomini. A volte le vittime possono essere omosessuali e transgender, donne precarie o con contratti atipici e donne immigrate.

«Il sindacato è chiamato a svolgere un ruolo educativo e formativo – ha concluso la Mosca –  per attuare prevenzione e rimozione dei comportamenti discriminatori e per costruire, con le altre sigle sindacali e la consigliera dii parità, dei percorsi e degli accordi mirati con aziende ed enti, al fine di siglare protocolli per attuare specifici codici comportamentali. Protocolli di questo tipo vengono già attuati nel pubblico impiego», l’obiettivo è di estenderli al privato.

Marilena Giordano, Consigliera Regionale per le Pari Opportunità della CISL Marche, ha ricordato l’entrata in vigore il 9 febbraio di quest’anno del rinnovo del contratto di lavoro nel pubblico impiego, e in particolar modo l’art. 34, dove per le donne vittime di violenza, che seguono percorsi di protezione, viene riconosciuto un periodo di congedo dal lavoro di tre mesi. Una tutela che dovrebbe essere garantita anche nel privato.

Di mobbing ha parlato invece Marina Marozzi, Responsabile del Centro Mobbing e Stalking UIL Marche, sottolineando come in Italia non esista ancora una legge in questo ambito. «Da inizio anno – ha spiegato – si sono già verificati 25 femminicidi  in Italia. Un record del quale non possiamo essere orgogliosi. Per promuovere la parità serve superare la cultura dell’ inferiorità di una parte su un’altra. L’Italia è un paese dove le donne ancora guadagnano meno degli uomini, e questo si ripercuote a cascata sulla famiglia. Mancano i servizi a sostegno della maternità, e le donne sono costrette a lavorare fino a 67 anni, quindi non possono neanche fare le nonne aiutando la famiglia». Ma la Marozzi ha ricordato anche la piaga delle dimissioni in bianco che vengono tutt’ora fatte firmare a  molte donne all’atto dell’assunzione, in previsione di una futura gravidanza.

A dicembre dello scorso anno è stato sottoscritto un protocollo per istituire una rete regionale antiviolenze nelle Marche, siglato da Questura, rappresentanze sindacali, Università ed istituzioni, «compito del sindacato nell’ambito di questa rete, quello di garantire sostegno nel mondo del lavoro.  Una rete che si prefigge l’obiettivo di accompagnare la persona in un momento terribile della propria vita. Stiamo lavorando – ha concluso la Marozzi – per elaborare un documento per creare la governance di questa rete».

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