PESARO – Lavoro nero, una piaga che non accenna a diminuire in provincia di Pesaro.
Il caso di caporalato scoperto dal Gruppo tutela del lavoro dei carabinieri di Venezia è il quarto in provincia di Pesaro. E permette di fare un’analisi dei numeri forniti dall’Ispettorato del Lavoro di Pesaro diretto da Giuseppina Natali.
Dal 2017 a oggi infatti sono stati individuati 317 lavoratori in nero nel corso di 283 veridiche ispettive di cui 225 hanno portato a scoprire irregolarità, ovvero un 79%. In pratica 8 ditte su 10 hanno qualcosa che non va.
Sono state sospese 62 attività imprenditoriali per impiego di lavoratori in nero per almeno un 20% della manodopera occupata. In questi casi per riaprire occorre pagare una multa salatissima e assumere il lavoratore a tempo indeterminato. È stato anche accertato un imponibile contributivo evaso per 2,5 milioni di euro.
Il primo caso di caporalato fu nel 2017 e fece giurisprudenza, uno dei primissimi a livello nazionale. Il blitz dei carabinieri avvenne a Case Bruciate, nel mirino una ditta di infissi e serramenta. Fu arrestato il titolare, un pesarese di 43 anni. Si procedette per l’articolo 603 – bis del codice penale, relativamente all’intermediazione illecita (caporalato) e allo sfruttamento del lavoro. In sostanza, lavoro nero. I lavoratori erano sottopagati, niente straordinari, ferie inesistenti, abbigliamento di sicurezza a spese proprie, fogli di dimissioni in bianco.
Poi il caso dell’imprenditrice cinese arrestata: i lavoratori reclutati venivano impiegati in un laboratorio tessile di Smirra di Cagli in nero con promesse di pagamento mai mantenute, sfruttati e con sistemazioni alloggiative degradanti. Erano 14 richiedenti asilo, bisognosi di soldi, costretti a turni massacranti.
Infine l’inchiesta in cui finirono agli arresti domiciliari 4 uomini pakistani, titolari di una cooperativa con sede a Pesaro che fornisce personale ad altre aziende per lavori di facchinaggio e assemblaggio e che sfruttavano 17 lavoratori connazionali. I lavoratori erano impiegati, aziende tra Sant’Angelo in Vado, Lunano è Senigallia, fino a 16 ore al giorno, percepivano 5 euro l’ora ed erano costretti a restituire parte dello stipendio o tutto il Tfr, sotto minaccia.