PESARO – La mostra in Pescheria di Arnaldo Pomodoro è stata appena inaugurata, ma è già tempo di riflessioni sull’arte e sugli spazi urbani.
Luca Sguanci, figlio dell’artista e curatore dell’Archivio Loreno Sguanci, avanza qualche spunto: «La mostra “Dalle sculture nella città all’arte di comunità” è l’evento che vede un’iniziativa sulla ricerca artistica di Arnaldo Pomodoro dopo 52 anni dalla sua mostra del 1971 “Sculture nella Città”, e un processo di rigenerazione urbana che attiva 12 residenze artistiche. La finalità è quella di rivedere criticamente un’operazione culturale, giudicata la “Pietra miliare nel dibattito sull’arte nello spazio pubblico e tappa fondamentale per l’identità contemporanea di Pesaro” e realizzare “12 opere d’arte site-specific nei quartieri della città, ideate attraverso percorsi di co-progettazione con i cittadini”. Simili obbiettivi richiedono però un’attenzione alla concatenazione degli eventi storici per non semplificare troppo il dibattimento sul ruolo dell’arte e degli artisti nella società a partire dagli anni Sessanta e per non far radicare un fuorviante sentimento popolare. Mi spiego meglio partendo dalla mostra d’arte: bellissima l’esposizione “Sculture nella città” del 1971; altrettanto coinvolgente quella omonima di Ceroli del 1972; impattante anche quella di Colla del 1973; e cosa dire dell’esperienza della collettiva a Fano “Sculture nella città” del 1974! Tutte queste mostre, nuove per la nostra provincia, hanno lo stesso titolo perché rimandano ad un comune progenitore, che è la vera pietra miliare nel dibattito sull’arte nello spazio pubblico: mi riferisco a “Sculture nella città” curata dal critico Giovanni Carandente nel 1962 a Spoleto».
Per Sguanci «le mostre dei primissimi anni Settanta realizzate a Pesaro e dintorni non sono il punto di approdo di una riflessione sull’arte e sul suo ruolo nel contesto urbano tanto che nel 1974 un altro critico di rilievo nazionale, Enrico Crispolti curatore di Volterrra ’73 e Gubbio ’74, scriveva nel catalogo della mostra fanese di non confondere la traslazione di opere dalla galleria d’arte ad una piazza, con un’avvenuta crescita culturale cittadina ed un incremento della partecipazione attiva dei cittadini ai processi artistici e culturali. Da questa constatazione originò con forza un nuovo impegno civico degli artisti che fece maturare, poi, il progetto pesarese del 1976 “La città come spazio operativo”. Una esperienza pilota a livello nazionale destinata a creare “dialogo e incontro” tra operatori, cittadini e attori territoriali. Quel felice momento partecipato portò alla collocazione di Porta a Mare di Loreno Sguanci, di Dentro all’Ovale di Marcello Guasti e a due potenti progetti mai realizzati, quello di Giò Pomodoro e quello di Mauro Staccioli. Ecco perché “Dalle sculture nella città all’arte di comunità” sembra essere un’operazione di riduzione. La storia della scultura contemporanea tradotta in un racconto, datato 1971, con il suo eroe solitario riduce, infatti, la città alla sola immagine di una delle sue opere architettoniche, mentre oggi serve considerare la veritiera, variegata e poliedrica bellezza di una città che cresce con il contributo di molti».
Sguanci cita quindi l’artista Caruso e il suo Monumento alla Resistenza del 1967, come «tappa iniziale del nostro Parco Urbano di Scultura di Pesaro. Con questo voglio dire che non apprezzo Pomodoro? Nel 1971 egli trovò una città pressoché libera da monumenti e scelse un percorso espositivo en plein air e uno dei luoghi più significanti e frequentati della città per donarci un suo segno artistico in poliestere. Quel luogo nel tempo regalò all’opera il senso della familiarità, inevitabile, vista l’ubicazione in uno snodo urbanistico strategico della vita della città. Ma attenzione l’uguaglianza Sfera Grande – Pesaro è, per questi motivi, un’esagerazione. Ed è proprio il tema dell’identità a condurci ad una raccomandazione per i 12 gruppi di lavoro previsti con l’Arte di Comunità: operate al fianco dei cittadini per dare rilievo alle loro riflessioni in fase di co programmazione e per spiegare i motivi delle scelte degli artisti professionisti e dei progettisti del verde pubblico o dello spazio urbano che, invece, co-progetteranno. Per farlo senza scomodare i Collettivi degli anni 90, basta riprendere le modalità di “La città come spazio operativo” del 1976».