«Noi marchigiani sappiamo fare le scarpe, e le facciamo davvero bene. Questo è un dato di fatto. Ma dobbiamo imparare a comunicarlo di più». Usa questa espressione Annarita Pilotti, dal 2015 alla guida di Assocalzaturifici, l’associazione che rappresenta a livello nazionale le imprese del settore. Prima donna a ricoprire l’incarico. Lei, marchigiana, nata a Penna San Giovanni, quattro figli e con un passato in Polizia, si “abbandona” a questa conclusione dopo una lunga chiacchierata telefonica, visto che in questi giorni è a Milano per il The Micam, la manifestazione internazionale dedicata al mondo della scarpa. Edizione numero 84.
Qui le aziende marchigiane presenti sono 250: 165 dalla provincia di Fermo, 75 da quella di Macerata, 4 ascolane, 3 pesaresi e 3 dall’anconetano. La sua riflessione però non dà spazio al pessimismo: la voce è sicura e piena di grinta. Nonostante la stanchezza in questi giorni di fiera. E nonostante i numeri del comparto che parlano sì di ripresa, ma contenuta, e anche di crisi.
Alcuni dati sul 2016 per il calzaturiero: tiene l’export nazionale con un aumento medio del 2,4% rispetto al 2015. Il veneto rimane la prima regione italiana per le esportazioni, seguita da Toscana e Marche. Questo in generale, perchè per le Marche l’anno appena trascorso non è andato bene soprattutto nell’area Csi, ovvero nel territorio dell’Ex Unione Sovietica, con un meno 6,7% (Fonte: Assocalzaturifici Italiani). Un andamento in calo anche nei primi sei mesi del 2017 con un meno 2,2% rispetto allo stesso periodo del 2016 (Fonte: Coeweb Istat).
Presidente Pilotti, che aria si respira al Micam tra gli operatori di un settore che non nasconde le difficoltà?
«Posso dire, in questi giorni intensi, di aver incontrato imprenditori e operatori del settore molto ottimisti. Nei loro occhi ho visto una luce che fa ben sperare. Tutti abbiamo sofferto e tanto. Ma i segnali di ripresa ci sono e per le esportazioni del Made in Italy in questi primi mesi dell’anno si registra un più 3,5% sui mercati Europei e Extra. Diciamo che stiamo uscendo dall’Inferno di Dante, immagine che abbiamo scelto come Associazione anche per la campagna pubblicitaria. È vero, avevamo toccato il fondo, ma ora la ripresa l’abbiamo agganciata e il prossimo anno ripartiremo dal Purgatorio».
Dunque, c’è ottimismo?
«Sì, abbiamo bisogno di tempo, la moda ha bisogno di tempo, ma ci stiamo risollevando e questo importante appuntamento milanese ne è un esempio: tanti gli operatori e tanti i grandi brand del mondo della moda presenti. È un Micam nuovo, fashion, rivoluzionario e già sappiamo che la lista di attesa dei top brand per il prossimo anno sta crescendo. E poi c’è stata la presenza del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Non era mai successo prima d’ora…dunque, ci sono tutti i numeri per preservare il nostro manifatturiero».
Però quando parliamo dei distretti marchigiani non tutto brilla e i numeri lo confermano…
«È vero, si perdono aziende e addetti. Nei primi sei mesi del 2017 abbiamo perso 41 attività, tra imprese e indotto. Ma molti, quelli che hanno saputo affrontare la crisi si sono reinventati. Come? Facendo innovazione e ricerca. E poi internazionalizzazione, web, marketing. Hanno saputo puntare sui giovani e hanno saputo valorizzare le vecchie generazioni, che sanno fare bene questo mestiere. In questo settore ci sono margini di crescita e opportunità per i giovani che possono dare tanto. Il mercato ha bisogno di manodopera qualificata e personale specializzato e di nuovi ruoli in azienda. Le Marche hanno portato al Micam il “loro saper fare”. Ecco, allora dico che dobbiamo imparare a fare tendenza anche noi, come fanno altre regioni. Le scarpe non sono più un accessorio, ma un elemento fondamentale del vestire e del nostro essere. Oltre la tendenza del momento».
Che cosa non ha funzionato nella nostra regione allora?
«Il fare rete, per esempio. Ci siamo lamentati troppo, senza risolvere però i problemi. Siamo ancora troppo chiusi, abbiamo paura di comunicare e condividere le idee. Trovare insieme le soluzioni, questo si può e si deve fare. Ancora c’è troppo individualismo, peccato: perchè sappiamo fare le scarpe bene. Veramente bene e oggi, a differenza del passato, la qualità è uno degli elementi più richiesti».