SENIGALLIA – Per la ricostruzione di ponte Garibaldi dopo l’alluvione del 2022 serve innanzitutto buon senso e non idee campate in aria. Questo in sintesi l’intervento di Paolo Formiconi. L’appassionato storico senigalliese, che si è occupato di ponti in città per diverso tempo, chiama in causa l’amministrazione comunale perché prenda posizione in merito a questa vicenda che sta tenendo banco da settimane, da quando si è ipotizzata una diversa collocazione della nuova infrastruttura. Ma andiamo per ordine.
La storia
Con l’ondata di maltempo del 15 settembre 2022 si sono verificati enormi disagi e persino 13 vittime nell’area valliva che da Arcevia scende fino alla costa a Senigallia. Tra i ponti danneggiati c’era anche ponte Garibaldi: è stato demolito, non nell’immediatezza come si sarebbe pensato opportuno bensì a ottobre 2023, un anno dopo, scoprendo che la struttura poteva essere aperta a livello almeno pedonale dato che sopportava il peso di una pesante escavatrice. La stessa servita a demolirlo dopo giorni e giorni di perforazioni e lavori. Prima, un sopralluogo nel luglio 2023 da parte del presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli aveva permesso di annunciare entro la primavera 2024 la soluzione definitiva dei disagi, per scoprire poi che così non è stato. Ed è già la seconda promessa non mantenuta solo sul ponte Garibaldi. A fine 2023 viene dall’Anas, soggetto attuatore, presentata la bozza progettuale alla struttura commissariale, ma emergono i primi nodi. Tra questi, l’altezza della futura infrastruttura tra l’area dello stadio Bianchelli e il centro storico al momento collegate solo da una costosissima passerella ciclopedonale con l’intradosso sotto al livello di piena del fiume. Quindi rischiosa in caso di esondazione. E allora arriva l’idea di un possibile spostamento della sede del ponte: viene scelto in una riunione tecnica di Anas, struttura commissariale, Regione e Comune di far passare il nuovo ponte a fianco dell’ex lavatoio pubblico di via Rossini, qualche metro più a monte della vecchia sede.
Le critiche e la replica
Questa soluzione però costringerebbe a demolire un fabbricato di un’associazione che già minaccia le vie legali. L’altezza del futuro ponte, rispettando alcuni criteri del 2018, diverrebbe tale da doverlo dotare di lunghe rampe di accesso e con una forma a S impattante, sia per la viabilità che per il paesaggio urbano senigalliese. Insomma, vari pro e contro. Conscio delle nette critiche, il sindaco Massimo Olivetti ha precisato che «l’alternativa alla realizzazione del ponte a queste condizioni è semplicemente la non realizzazione dello stesso, e non è assolutamente percorribile».
L’altro punto di vista
E qui interviene lo storico Paolo Formiconi: «Ponte Garibaldi serve là esattamente dov’era, per ridare ai senigalliesi quel collegamento pensato dagli urbanisti della seconda ampliazione settecentesca indispensabile per poter oltrepassare il Misa tra le due sponde nello stesso punto dov’era prima e com’era prima. Altrimenti è meglio non ricostruirlo!». Secondo Formiconi, che pochi mesi prima del disastro aveva pubblicato un libro sui ponti del centro storico senigalliese con Gianluca Quaglia, il buon senso “urbanistico” porterebbe a lasciare il ponte dov’era. Non solo, ma anche a realizzare altri lavori che ridurrebbero le piene in città. Proprio qui esistono infatti «muri di contenimento non sufficienti a trattenere le acque in massima piena»; senza contare che «in alcuni punti l’impianto fognario è sotto il livello delle acque in piena con conseguenti rigurgiti e veri e propri fontanazzi».
Da qui la proposta quindi di intraprendere la strada dei martinetti o di altre migliorie idrauliche per poter ricostruire ponte Garibaldi dove sorge da centinaia di anni. Parlare di nuova realizzazione in altra sede «prevedrebbe l’applicazione della normativa sui nuovi ponti con franco idraulico e relativa necessità di innalzamento dell’impalcato». Mentre la città attende (e discute!) la ricostruzione del ponte Garibaldi lì dov’era, «i due interventi da completare urgentemente sono quelli di laminare le acque in caso di piena a monte della città, lavori già in corso, e ripristinare l’officiosità idraulica con rimozione dei detriti presenti nell’alveo cittadino, anche questa con lavori già appaltati ma bloccati», conclude Paolo Formiconi.