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Fabriano: il presidente Acquaroli ha fatto visita alla casa rifugio della Comunità Papa Giovanni XXIII

Don Aldo Buonaiuto: «La visita di un governatore in una casa dove vivono le donne più invisibili della società a cui è stata calpestata la dignità, a cui è stata tolta anche la voglia di sopravvivere, assume un grande significato»

Una veduta di Fabriano|
Una veduta di Fabriano

FABRIANO – Il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, ha fatto visita alla casa rifugio delle “Donne crocifisse” della Comunità Papa Giovanni XXIII gestita da don Aldo Buonaiuto in occasione della Giornata internazionale contro la tratta. «La visita di un governatore in una casa dove vivono le donne più invisibili della società a cui è stata calpestata la dignità, a cui è stata tolta anche la voglia di sopravvivere, assume un grande significato, specialmente se è proprio un uomo, un politico, il responsabile di un governo regionale, a rendersi conto, a vedere e ascoltare l’orrore che delle giovanissime donne hanno dovuto subire. Il Presidente ha visitato il centro appena ristrutturato e ampliato grazie ad una importante donazione fatta direttamente da Papa Francesco», le parole di don Aldo.

La visita

«Profonda è stata la commozione e grande l’attenzione del presidente al quale ho espresso il mio personale auspicio che su scala globale abbia luogo un “mea culpa” condiviso che unisca i popoli, le classi dirigenti, i governanti dei Paesi di provenienza, transito e destinazione della tratta. Da parte sua il Presidente della Regione Marche ha espresso la sua sincera vicinanza, rinnovando tutta la disponibilità come istituzione a compiere quanto possa servire per combattere il fenomeno della prostituzione coatta fortemente presente anche sulla costa marchigiana lungo le strade del mercimonio coatto. Nel ringraziare il governatore ho auspicato che la Regione possa collaborare sempre più attivamente per una crescente opera di formazione sul tema della tratta, di educazione sentimentale delle nuove generazioni secondo l’ispirazione matura e consapevole in base alla quale l’amore si merita, non si pretende con la violenza o le pressioni psicologiche, né tantomeno si acquista. Ne deriva la centralità della trasmissione valoriale nelle scuole e in tutte le agenzie educative di un modello culturale e valoriale improntato al rispetto e alla responsabilità». Nel sottolineare il meritevole impegno delle Prefetture e delle Forze dell’Ordine mobilitate a tenere alta la guardia, «ho auspicato al tempo stesso rafforzarsi sempre più il capillare contrasto alle forme vecchie e nuove di racket quanto mai aggressive sulle nostre strade, nei locali e negli angoli bui della nostra cattiva coscienza collettiva e individuale. Nessuno potrà più dire di avere le mani pulite finché qualcuno continuerà a degradare in bancomat umani le più fragili e indifese delle creature, e cioè quelle “donne crocifisse” che don Oreste chiamava con affetto “le nostre sorelline”», ha concluso don Aldo prima di lasciare spazio alla drammatica testimonianza di una ragazza salvata dalla tratta. Una donna che ha ripercorso passo passo quanto le è accaduto fino alla rinascita rappresentata dall’incontro con don Aldo e la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Grazie a Dio stavolta non mi ero sbagliata. Queste persone erano veramente mandate dal Signore per salvare me e la mia famiglia. Sono stata accolta e coccolata come una vera figlia ricevendo tante attenzioni che neanche mia mamma aveva potuto rivolgermi. Non è stato immediato riacquistare fiducia nel prossimo. Non è stato facile ritornare a vivere, a stare bene senza doversi continuamente guardare alle spalle. Ora sono tranquilla, nonostante i miei problemi di salute, il dramma di avere le tube distrutte che mi impediscono di avere figli, l’obesità che non riesco a curare (quando sono partita dal mio Paese ero magrissima, ora peso più di cento chili) e gli incubi notturni dove c’è sempre qualcuno che in sogno viene a farmi del male. Ciò che mi dà un po’ di speranza è sapere che la mia vita e la mia testimonianza di ‘martirio’ non sono vane, ma possono servire per far comprendere che non siamo degli oggetti da barattare e di cui approfittare, ma delle persone da salvare», ha concluso la donna.