ANCONA – Sono 25 gli avvocati in meno iscritti all’Ordine degli Avvocati di Ancona nel raffronto tra il 2017 ed il 2016, 1601 contro 1626. Lo scostamento inferiore al 2% conferma un trend ormai costante: anche in questa prima parte dell’anno 2018 ci sono state diverse richieste di cancellazione. Quella che era, nell’immaginario collettivo, una professione ed una carriera a cui aspirare, oggi rischia di non essere più così ambita. A evidenziarlo è Serenella Bachiocco, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Ancona. Nel complesso, comunque, anche nel 2017 vi sono stati 41 nuovi iscritti, nel 2016 addirittura 71, mentre nel 2015 furono 46.
«I giovani – osserva l’avvocato Bachiocco – ambiscono a svolgere ancora questa professione che personalmente considero, dopo anni e nonostante le difficoltà di ogni genere, bellissima. Semmai sono le situazioni contingenti che cozzano con le opportunità di carriera a convincere qualcuno a chiedere la cancellazione dall’Ordine. L’andamento di Ancona è simile anche nelle altre province marchigiane ed italiane. Nuove norme hanno reso meno conveniente svolgere la professione di avvocato e questo pesa in tutti i contesti territoriali. Difficile dire come se ne esca».
Utile, forse, l’introduzione dell’equo compenso. «Esso è di certo uno strumento che tutela la dignità di coloro che svolgono la professione forense ed il suo imprescindibile ruolo nella società moderna viene perseguito anche attraverso il riconoscimento del suo valore economico – osserva ancora Bachiocco -. Come Ordine degli Avvocati di Ancona cerchiamo di proporre un percorso formativo puntuale e qualificante che consenta di essere professionisti migliori, ma è chiaro che ciò non possa bastare. Occorre che la politica rimetta mano al sistema della giustizia troppo penalizzato e trascurato in questi anni e forse avremo un’inversione di tendenza».
Avvocato Bachiocco, quali sono le maggiori problematiche del settore?
«Sono molte le cause che contribuiscono a scegliere di lasciare l’avvocatura e riguardano la crisi economica, la concorrenza, la difficoltà a percepire gli onorari, le adempienze fiscali sempre più onerose, una normativa farraginosa e spesso diretta a svolgere compiti burocratici piuttosto che l’incarico stesso, spingono molti colleghi ad una scelta di vita diversa puntando su un lavoro dipendente, come ad esempio dedicarsi all’insegnamento, oppure a partecipare a concorsi pubblici per posti da impiegato amministrativo puntando su orari certi e meno stress. A tutto ciò si aggiunge poi la dilatazione dei tempi di liquidazione da parte dello Stato nel patrocinio per i non abbienti che va a gravare sul bilancio dei professionisti, eppure gli Avvocati garantiscono la difesa dei soggetti più deboli, nel rispetto della legge che ne disciplina la materia, dimostrando senso di responsabilità e consapevolezza dell’importanza della propria funzione sociale».
Fra le criticità italiane vi è certamente la giustizia lenta, quali sono a suo parere le cause?
«Sono molte le cause che determinano la lentezza della giustizia della quale gli Avvocati, così come cittadini, sono vittime. Consideriamo innanzitutto gli aumenti vertiginosi di contenzioso legati al particolare settore della protezione internazionale che hanno contribuito a creare pendenze che si ripercuoteranno per gli anni a venire. Ad incidere poi le carenze di organici a tutti i livelli che, pur calmierati dai recenti concorsi, provocano rallentamenti alla macchina giustizia, e non da ultimo le nuove normative nazionali sia civili che penali. Come riferivo all’apertura dell’anno giudiziario, le riforme per il settore penale hanno risentito nell’emanazione della opinione popolare e di orientamenti, così come di opportunismi politici. Lo spostamento dell’azione repressiva dal terreno garantito del processo penale a quello delle misure di prevenzione, le dilatazioni di tempi tra fatti e giudizi in spregio al diritto di essere giudicati in tempi brevi, le aumentate competenze della polizia giudiziaria ma non le corrispondenti garanzie alla difesa, la previsione di una maggior partecipazione a distanza dell’imputato al processo frutto di scelte operate di natura economica: tutte norme che non riconoscono, in sostanza, che la qualità del processo penale non può prescindere dall’esistenza di un contraddittorio pieno tra accusa e difesa. Per quanto concerne il settore civile e la riforma del diritto fallimentare salutata dal Ministro Orlando come riforma epocale, come rimodellamento di un meccanismo distorto che ha macinato risorse sia imprenditoriali che di beni, come maggiore specializzazione di parte della magistratura con beneficio per la procedura, nasconde notevoli e gravi problematiche. Infatti, se la specializzazione della magistratura deve essere intesa come adozione di provvedimenti e gestione di procedure con valutazioni di natura appunto specialistica, sembra al legislatore naturale che questa magistratura debba essere situata in pochi tribunali e, dunque, oltre una mascherata revisione della geografia giudiziaria, si configura, anche, una violazione di diritti dei cittadini che verranno giudicati e che si dovranno recare presso Tribunali che poco o nulla sanno del tessuto sociale di provenienza , che saranno sì specializzati, ma che non avranno loro malgrado, la capacità di dare una giustizia giusta ed adeguata al caso concreto. Ora stiamo attendendo le deleghe che sembrano siano pronte, ma auspichiamo che dopo gli incontri istituzionali si sia compresa l’importanza di ascoltare chi (gli avvocati) vive realmente i problemi dei e con i cittadini».
Quali richieste fate al governo?
«Lo scorso 23 febbraio l’Organismo Congressuale Forense ha indetto una manifestazione denominata “Giornata della dignità e dell’orgoglio dell’Avvocatura e della salvaguardia delle tutele: parliamone prima”, che ha previsto una iniziativa territoriale su base distrettuale. Scopo della manifestazione era informare la cittadinanza e rivendicare una serie di valori “irrinunciabili” connessi all’esercizio della professione forense: la salvaguardia della professione forense quale strumento di composizione delle distorsioni sociali e del mercato; la irrinunciabilità della tutela giudiziaria dei diritti, anche con la conservazione della giustizia di prossimità; l’autonomia e l’indipendenza dell’Avvocatura; il diritto ad una “giusta” remunerazione della prestazione professionale. Sono tutti temi dei quali il nuovo Governo speriamo si faccia carico chiedendo che si adotti stabilmente un modus operandi che instauri un confronto preventivo di ascolto tra politica e chi rappresenta l’Avvocatura. La nostra categoria merita di essere valorizzata e, chiediamo alla politica, intanto di rimettere il tema della giustizia in cima all’agenda. L’Avvocatura chiede alle forze politiche un impegno per ristabilire la centralità della giurisdizione quale ineliminabile strumento di garanzia dei diritti dei cittadini e del ruolo che essa è chiamata a svolgervi, per l’imprescindibile presupposto della propria indipendenza ed autonomia. Per evitare l’aggravarsi di una deriva di cui i cittadini sono quotidianamente chiamati a pagare il prezzo, è necessario che la Politica crei un canale di dialogo costante con chi, vivendo ogni giorno nelle aule di tribunale, raccoglie quotidianamente le richieste di tutela che provengono dalla nostra società e, per questo, non può rimanere inascoltato. I colloqui avviati in questo periodo dal CNF e OCF con il Ministro e con tutte le forze politiche dell’arco costituzionale ci fanno ben sperare».